Nagorno Karabakh: l'anomalo assedio

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Foto: Lora Ohanessian da Balcanicaucaso.org

È una crisi nella crisi quella del blocco del corridoio di Lachin, che ormai perdura dal 12 dicembre. Quelli che si presentano come ambientalisti azerbaijani presiedono stabilmente l’unica strada che conduce dall’Armenia al Karabakh, dichiarando di protestare contro lo sfruttamento illegale delle risorse e l’inquinamento causato da queste attività nell’area abitata dai secessionisti armeni.

Di fronte ai manifestanti ci sono i peacekeeper russi, all’altezza di quello che sarebbe il presidio russo numero 7 della trentina circa presenti nell’area secessionista, che impediscono ai manifestanti di avanzare ulteriormente. Il che fa peraltro dichiarare a Baku che tecnicamente il blocco è causato dai peacekeeper, non dai manifestanti. In questo mese di blocco i karabakhi hanno organizzato manifestazioni e marce, con l’intenzione di confrontarsi anche con i manifestanti azeri, ma il cordone dei peacekeeper e l’opera di contenimento delle forze di sicurezza karabakhi hanno finora impedito contatti diretti il cui esito non è prevedibile.

Il punto 6 della dichiarazione congiunta del novembre 2020 che ha messo fine ai combattimenti fra Armenia e Karabakh da un lato e Azerbaijan dall’altro prevede che a garantire il funzionamento del corridoio di Lachin siano proprio i peacekeeper che lo stanno ora bloccando presidiandolo. Per questo gli armeni del Karabakh durante questo mese hanno sfilato anche verso la base di Khojali, quartier generale dei peacekeeper. Ma all’interno della repubblica secessionista permane una notevole prudenza a criticare l’operato dei peacekeeper e della Russia, attualmente unico scudo rispetto ad un'avanzata azera. In Armenia invece il loro operato viene criticato più severamente. L'8 gennaio scorso 65 manifestanti, riconducibili a movimenti nazionalisti armeni, sono stati arrestati mentre manifestavano davanti alla base militare russa di Gyumri, in Armenia.

L’Armenia si sta muovendo in fora internazionali, e si è appellata alla Corte Internazionale di Giustizia perché applichi misure ad interim affinché venga rimosso il blocco.

Cause

Il blocco di Lachin segue una serie di pressioni esercitate da Baku sulla questione delle vie di comunicazione e sulla risoluzione definitiva della questione del Karabakh. Mentre nel periodo sovietico il Karabakh era una regione autonoma all’interno dell’Azerbaijan, dopo la guerra del 2020 Baku ha dichiarato che il Karabakh non gode di alcun grado di autonomia politica, e che lo spazio attualmente presieduto dai peacekeeper russi rientra in un nuovo distretto economico insieme a Zangezur. Con la presente azione Baku intende riprendere possesso della sovranità sulle attività economiche che si esercitano nella zona e sull’esportazione – che avverrebbe attraverso il corridoio – di minerali e metalli estratti in Karabakh. Ma non sono solo le esportazioni non autorizzate né tassate da Baku ad aver mosso questa operazione. Con il blocco del trasporto attraverso questa arteria vitale per i secessionisti l’Azerbaijan intende ottenere altri scopi che sono prioritari.

Dopo la guerra sono rimaste una serie di questioni che stanno irritando Baku. Innanzitutto la questione delle mine. Sono circa 270 le vittime delle mine, e nell’opera di sminamento in corso Baku ha più volte testimoniato di aver trovato mine prodotte in Armenia nel 2021. La guerra è stata nel 2020, per cui le mine sarebbero state portate e posate dopo la fine del conflitto e l’unico percorso ipotizzabile plausibile è il corridoio in questo momento bloccato. Come le mine Baku sostiene che sono arrivate armi, e una delle priorità del post-2020 è lo smantellamento di quelle che per i secessionisti sono le forze armate e di sicurezza karabakhi, e che per Baku sono milizie ribelli, che quindi vanno disarmate e sciolte.

Il blocco di Lachin ha un forte impatto sulla capacità degli armeni del Karabakh di continuare a vivere nel territorio dipendendo da Yerevan piuttosto che accettando di integrarsi nell’Azerbaijan. Insomma, è uno strumento di pressione per piegare la resistenza all’integrazione nel paese a cui de jure la regione secessionista appartiene. Nessuno stato membro dell’ONU riconosce il Karabakh indipendente.

Per gli armeni questo è più che una pressione all’integrazione forzosa, è un autentico metodo per svuotare il Karabakh di armeni, causandone un esodo massiccio o – come denunciano voci armene – per commettere un nuovo genocidio verso una comunità storica armena...

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