“La soluzione alla crisi nell’Europa dell’Est non può essere militare”

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Foto: Unsplash.com

Ancor di più dopo l’annuncio di Vladimir Putin del 21 febbraio di riconoscere le cosiddette repubbliche separatiste del Donbass (Luhansk e Donetsk), lo spettro della guerra in Ucraina è sempre più vicino. “Ma la guerra non può risolvere questa crisi”, spiega Ray Acheson, attivista e scrittrice, parte della Women’s International League for Peace and Freedom, la più antica organizzazione femminista di pace del mondo. “Un processo di pace incentrato sulle persone, con la partecipazione equa e significativa di tutti i gruppi coinvolti è l’unica strada sensatamente possibile. De-escalation, smilitarizzazione e disarmo sono cruciali per prevenire questa guerra, e la prossima”.

Altreconomia ha chiesto ad Acheson, che guida Reaching Critical Will, il programma sul disarmo presso la Wilpf, e fa parte del gruppo direttivo della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Premio Nobel per la pace 2017) di chiarire meglio il pensiero sotteso a questa presa di posizione, e le possibili strade da intraprendere.

Acheson quali sono le origini profonde di questa crisi?

RA Dietro la crisi attuale c’è una storia di violenza militarizzata ed economica. La Russia e gli Stati Uniti hanno un approccio imperialista al di fuori dei propri confini interferendo, attraverso azioni militari ed economiche, in Paesi che ritengono essere all’interno delle loro “sfere di influenza”. Entrambi usano il militarismo, l’aggressione e i legami economici forzati per guidare la loro condotta nelle relazioni internazionali, ed entrambi affrontano l’ineguaglianza interna, la povertà e la resistenza attraverso azioni di polizia e punizione. I governi di entrambi i Paesi si criticano a vicenda per lo stesso tipo di comportamento: la Russia critica l’imperialismo statunitense, eppure invade e occupa i suoi vicini, bombarda i civili e si impegna in attacchi informatici contro infrastrutture critiche che danneggiano le persone comuni. Gli Stati Uniti criticano la Russia come un’autocrazia, ma negli ultimi decenni hanno rovesciato governi democraticamente eletti se solo minacciavano gli interessi degli Stati Uniti, costruiscono basi e si impegnano in guerre e operazioni militari in centinaia di Paesi in tutto il mondo, e investono miliardi di dollari in spese militari mentre molti dei cittadini statunitensi vivono senza assistenza sanitaria, alloggi o sicurezza alimentare. Entrambi i Paesi hanno rinforzato eserciti, alleanze militari e arsenali nucleari per sfidare l’altro. L’Ucraina, in questo contesto, è una pedina utilizzata da entrambe le parti.

Quindi il rischio che vede è quello di un confronto diretto tra le due grandi potenze?

RA Questo braccio di ferro corre il serio rischio di portarci alla distruzione di massa. Russia e Stati Uniti possiedono più di 11.850 armi nucleari, gli altri membri della NATO, Francia e Regno Unito ne hanno alcune centinaia ciascuno. Gli Stati Uniti hanno anche circa 100 testate nucleari in Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. Non sono residuati di una guerra fredda ormai passata, ma pronte per essere usate. I numeri delle scorte, per quanto allarmanti, non trasmettono il puro orrore che ogni arma racchiude in sé. Ogni singola bomba è progettata per sciogliere la carne, bruciare città, decimare piante e animali, e scatenare un veleno radioattivo che dura per generazioni. Anche l’uso di una sola di queste armi sarebbe disastroso. Uno scambio nucleare sarebbe catastrofico. Russia e gli Stati Uniti, insieme a Francia, Regno Unito e Cina, hanno recentemente concordato che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta, facendo eco a una dichiarazione di Michail Gorbačëv e Ronald Reagan nel 1985. Eppure ognuno di questi Paesi ha investito miliardi nella “modernizzazione” e nell’espansione dei propri arsenali nucleari, preparandosi non al disarmo ma all’Armageddon nucleare. Ognuno mantiene dottrine e politiche per l’uso delle armi nucleari: un messaggio incredibilmente pericoloso che va a diretto beneficio del complesso militare-industriale...

L'intervista di Francesco Vignarca a Ray Acheson segue su Altreconomia.it

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