Iraq e petrolio: il Kurdistan contro Baghdad

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La stabilità della struttura politica irachena è ancora sotto stress.Il pomo della discordia è di quelli che scottano: si tratta infatti del controllo e della gestione commerciale delle risorse che scorrono nel sottosuolo del paese.

A questo, si aggiungono le rivendicazioni di maggiore autonomia da parte del Kurdistan nei confronti del governo centrale.

Da un lato, Baghdad reclama l’esclusivo diritto di esportare il petrolio iracheno (e di gestire così i proventi che l’attività genera); dall’altro, il Kurdistan sembra di tutt’altro avviso, ed ha già provveduto, negli ultimi mesi a firmare autonomamente accordi di esplorazione con grandi imprese straniere; accordi che il governo guidato dal premier Maliki considera illegali.

Secondo le ultime dichiarazioni da parte di alti funzionari del governo curdo, la regione semiautonoma starebbe considerando di interrompere le proprie forniture di petrolio già a partire da settembre.

Il motivo, secondo le accuse di Erbil, sarebbe il mancato pagamento, da parte di Baghdad, delle somme spettanti alle imprese petrolifere curde attive nel settore.

Il petrolio prodotto nel Kurdistan è normalmente inserito nei canali di esportazione iracheni che transitano per Kirkuk e viene venduto sul mercato internazionale attraverso il porto turco di Ceyhan.

Già lo scorso aprile, il Kurdistan aveva bloccato le esportazioni di petrolio per lo stesso motivo, facendo diminuire di un quarto la quantità di petrolio in uscita da Kirkuk.

Nel frattempo, Erbil non era rimasta ad aspettare un mea culpa da parte di Baghdad: al contrario, si era attivata per esportare autonomamente petrolio nella vicina Turchia, eludendo il passaggio attraverso gli impianti controllati dal governo iracheno.

Il blocco era stato sospeso in agosto, con l’avvertenza tuttavia che, qualora non fossero giunti i pagamenti entro trenta giorni, sarebbe ripreso.

E mentre lo scadere dell’ultimatum curdo si avvicina minaccioso, le autorità irachene si difendono con diverse contro-accuse, sostenendo che i flussi di petrolio provenienti dal Kurdistan, nel mese di agosto, siano stati inferiori a quelli pattuiti, e sottolineando come le autorità curde non abbiano ancora presentato le ricevute delle spese sostenute dalle compagnie petrolifere locali.

Secondo gli accordi conclusi nel gennaio del 2011, Baghdad è tenuta a rimborsare i costi di esplorazione ed estrazione sostenuti dalle imprese curde; di contro, le autorità curde si impegnano a fornire a Baghdad 175 mila barili al giorno di petrolio per l’esportazione.

 

Dopo la vendita, il governo centrale è tenuto ad accreditare al Kurdistan il 50% dei guadagni derivanti dal petrolio curdo.

Erbil sostiene di aver ricevuto dall’inizio dell’accordo soltanto due pagamenti, per un totale di 514 milioni di dollari, di cui l’ultimo risale a maggio 2011.

La ripresa delle esportazioni del Kurdistan, in agosto, era apparsa come un gesto di buona volontà da parte curda per distendere le tensioni con Baghdad, dopo che la regione semiautonoma aveva concluso l’ennesimo accordo di esplorazione senza l’approvazione di Baghdad, questa volta con la compagnia francese Total.

La minaccia sollevata in questi giorni dalle autorità curde rientra nel più ampio tentativo, da parte di Erbil, di dimostrare come l’entità delle proprie forniture rappresenti un elemento importante nelle politiche di sviluppo del settore perseguite dal governo iracheno: in questo modo, il governo curso auspica di ottenere maggiore autonomia e maggiore peso nei tavoli negoziali con il governo iracheno; ma soprattutto, mira a ottenere la gestione totale del commercio delle risorse naturali che scorrono nelle viscere del suo territorio.

Da parte sua, l’Iraq sta perseguendo un piano ambizioso per raddoppiare in tre anni la propria produzione di petrolio; i risultati finora sono soddisfacenti: nel 2011, l’Iraq era il quarto produttore in ambito OPEC, dopo Arabia Saudita, Iran e Venezuela, ma recentemente ha sorpassato l’Iran raggiungendo la cifra record di 3 milioni di barili al giorno, divenendo così il secondo produttore. Certamente, la perdita del controllo di una parte di questi flussi non potrà che danneggiare tali piani.

Anche perché, forte di maggiore autonomia finanziaria e commerciale, il Kurdistan potrebbe aumentare, in futuro, la lista delle proprie rivendicazioni.

Intanto, diverse imprese straniere sembrano lamentare una scarsa redditività degli investimenti in Iraq, un ritardo cronico nell’aggiornamento delle infrastrutture, così come frequenti disaccordi sui pagamenti e insufficienze logistiche.

Problemi che avrebbero spinto alcune di queste imprese a rivolgere le proprie attenzioni verso il Kurdistan e a suoi contratti più favorevoli per gli investitori.

Tuttavia, ripetono le autorità irachene, l’utilizzo da parte di Erbil del petrolio come un’arma renderà i rapporti tra Kurdistan e Iraq sempre più complicati.

Giovanni Andriolo

Fonte: osservatorioiraq.it

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