"Cessate il fuoco subito" dice il mondo a Israele, America compresa

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Foto: Unsplash.com

Titolo commento di Haaretz e sintesi di quello che è successo ieri, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La Risoluzione dell’Onu «per un cessate il fuoco immediato a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi», passata col consenso indiretto (senza il suo veto) degli Stati Uniti. Dopo 171 giorni, 32.300 palestinesi uccisi a Gaza e tre veti, gli Stati uniti si astengono. Decisione storica che ha scatenato una tempesta diplomatica tutta ancora da valutare. Ci prova Piero Orteca.

Il troppo di Netanyahu isola Israele nel mondo

Tecnicamente, la decisione Onu pone il governo di Tel Aviv all’angolo, perché il documento è vincolante e se Israele non lo rispettasse potrebbe essere, in linea teorica, oggetto di sanzioni. Anche se l’ambasciatrice Usa, Linda Thomas Greenfield, forse nel tentativo di limitare i danni ed esprimendo un suo personalissimo parere, ha ipotizzato «che la decisione non sia vincolante». Certo, dopo questa pronuncia, la posizione internazionale di Israele si fa più complicata.

La furia incontinente e le alternative

Netanyahu, all’esito del voto, ha chiesto alla delegazione che si doveva recare a Washington, per delicati colloqui sull’offensiva di Rafah, di starsene a casa. Negli States, però, c’era già il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, per una serie di incontri ai massimi livelli: con Jack Sullivan, il Consigliere per la Sicurezza nazionale, con Antony Blinken, il Segretario di Stato e con Lloyd Austin, il capo del Pentagono. Come mai Gallant è rimasto? In questo momento gli Usa lo hanno scelto come interlocutore, cestinando le obiezioni e le ritorsioni del premier. Sullivan, per rincarare la dose, ha dichiarato di avere incontrato Gallant «e di avere avuto con lui una discussione molto costruttiva su come sconfiggere Hamas». Sostegno alla difesa dura di Israele, ma non con Netanyahu, il messaggio.

Israele lacerata da troppa vendetta

La narrativa dice che fra Gallant e il suo premier i rapporti, molte volte, sono stati tempestosi. E lo sfregio diplomatico del ritiro della delegazione israeliana accentua solo le spaccature con una Casa Bianca sempre più irritata, per l’intransigenza israeliana e la crescita, inarrestabile, di vittime civili palestinesi. D’altro canto, secondo diversi analisti, ‘il tira e molla’ tra americani e israeliani dura già da alcune settimane. A Washington, sono convinti che una pesante offensiva su Rafah peggiorerebbe solo le cose: non darebbe grossi vantaggi dal punto di vista militare e, soprattutto, scatenerebbe una catastrofe umanitaria difficilmente arginabile.

Scelte e condotte militari contestate

A quanto pare, voci di corridoio parlano di precise contestazioni americane sulle strategie seguite, sul campo di battaglia di Gaza, dall’IDF. Che Hamas sia un nemico sfuggente e da combattere in maniera ‘mirata’, fanno notare a Washington, è testimoniato da ciò che sta succedendo in questi ultimi giorni. I feroci combattimenti nei pressi dell’ospedale al-Shifa a nord e Nasser, a sud, in aree che si credevano ‘bonificate’, dicono invece il contrario. Cioè, che sparare nel mucchio causa solo più vittime civili innocenti, ma non è vantaggioso dal punto di vista degli obiettivi militari da raggiungere. Perché, il nemico riemerge sempre. Quindi, qualcosa va cambiata...

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