Armi: sulla 185 il sindacato da che parte sta?

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"E' ora che i sindacati si decidano: o stanno con la legalità e per la pace oppure che dicano chiaro che fanno gli interessi di pochi e ben pagati operai del comparto armiero". Così Giorgio Beretta della Campagna di pressione alle banche armate commenta la notizia emersa dal convegno promosso a Villa Marigola di Lerici da Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil sul tema "La Spezia, l'industria della difesa nel contesto europeo, un'opportunità per il territorio". "La protesta (sulla 185 - ndr) partita dal sindacato ha trovato d'accordo l'amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini" - riporta l'Ansa. "Che Guarguaglini e con lui gran parte del comparto industriale-militare e del mondo bancario consideri la legge 185/90 un ostacolo ai propri affari non è una novità. E' penoso, invece, assistere al gioco del gatto e del topo tra le sedi locali del sindacato, tutto teso alla difesa degli interessi di categoria, e le sedi romane degli stessi sindacati che cercano di mantenere un piede nella scarpa del movimento della pace e l'altro nelle diverse realtà sindacali locali. E' ora che i sindacati affrontino seriamente il problema e decidano da che parte stanno" - nota Beretta. "Da Brescia a La Spezia la faccenda è sempre la stessa e ormai la conosciamo: un continuo tira-molla inconcludente tra i delegati locali e i vertici romani".

"Per quanto riguarda l'ing. Guarguaglini - continua Beretta - vorrei ricordargli che, nonostante i suoi desideri, in Italia le leggi non le fa lui ma il Parlamento che negli anni '80 arrivò, su fortissima pressione popolare, a dotare l'Italia di una legge non "restrittiva", ma rigorosa per quanto riguarda l'export di armi. Putroppo spesso disattesa dai vari governi, come da anni la Campagna di pressione alle "banche armate" puntualmente documenta. E non vedo proprio cosa abbia da lamentarsi visto che, grazie alla complicità del Governo, nell'ultimo triennio il portafoglio d'ordini dell'industria militare italiana è cresciuto di oltre il 70%, passando dagli 863 milioni di euro di commesse del 2001 agli oltre 1489 milioni di euro del 2004. Lo stesso vale per le banche italiane che non si capisce proprio come possano lamentare "difficoltà operative" poichè hanno visto raddoppiare nell'ultimo anno le operazioni che sono passate dai 722 milioni del 2003 agli oltre 1.317 milioni del 2004, e da sole ricoprono più dell'80% delle autorizzazioni rilasciate dal Ministero dell'Economia".

"La faccenda è un'altra - prosegue Beretta - e tutti quelli che vogliono capire l'hanno ormai capita: ciò che dà fastidio all'industria armiera e alle banche non sono le cosidette "restrizioni" della legge 185, ma il fatto che renda pubblici e controllabili dalla società civile i dati sull'export di armi. Se il problema fossero le "restrizioni" che la legge italiana pone con i conseguenti effetti sulla "concorrenza europea", l'industra armiera avrebbe già trovato i canali per chiedere misure più rigorose a livello di Unione europea: cosa che, invece, si guarda bene dal fare e a nessun consesso si è mai alzata la voce dell'industria armiera nazionale per chiedere regole più restrittive sull'export per tutta l'industria militare europea. Anzi, la parola d'ordine che le industrie nazionali del settore vanno sbandierando è la "competitività" nei confronti degli Stati Uniti. E spiace proprio che il sindacato sembri allinearsi a questa logica" - sottolinea Beretta.

Da quanto riportato dall'Ansa, dal convegno promosso a Villa Marigola di Lerici da Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil sul tema "La Spezia, l'industria della difesa nel contesto europeo un'opportunità per il territorio" l'amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini ha lamentato: "Noi non gestiamo l'industria direttamente come avviene all'estero. La 185 ci pone delle regole". L'Ansa riporta inoltre che l'ex amministratore delegato di Oto Melara, Ferrari, ha rilevato che "la legge classifica la vendita delle armi in Italia come un delitto, perchè la guerra è un peccato, e questo crea seri problemi di collaborazione anche con le banche" e che ha chiesto a Guarguaglini di dire chiaramente se "la 185 oggi vi ostacola e se preclude trattative di esportazione all'estero". La risposta affermativa dell'ad di Finmeccanica non si è fatta attendere. "Il caso delle Fremm - ha risposto - è l'ultimo. La 185 è fatta in modo tale che un semplice pronunciamento dell'Onu su un possibile focolaio di guerra può bloccare le vendite di armi ad un Paese estero. Anche se sei alleato di quel Paese, non puoi più vendere".

"Sarebbe interessante sapere dall'ing. Guarguaglini quali pronunciamenti Onu hanno precluso la vendita di armi a quale Paese: se si riferisce al passato sicuramente è il caso dell'Iraq di Saddam Hussein e lascio a voi il giudizio. Se invece pensa al Sudan, all'Indonesia, alla Repubblica Democratica del Congo o alla Cina (che non è embargo Onu, ma Ue) lo dica chiaro. Al solito, all'industria armiera piace sollevare polveroni senza mai dire le cose come stanno. Cose che, invece, dicono precise a porte chiuse nelle stanze di palazzi che ben conoscono" - conclude Beretta.

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