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Armi: dall'Onu alla Lombardia per disarmo e riconversione
Economia di guerra
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Con l'anno nuovo è iniziata a New York la fase preparativa della prima grande Conferenza Onu di revisione del commercio delle piccole armi e sono numerose le iniziative: nei giorni scorsi la Santa Sede ha chiesto alla comunità internazionale di preparare un trattato che regoli il commercio delle armi leggere. L'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, lunedì scorso intervenendo alla Sessione della Commissione Preparatoria Conferenza dell'ONU - che avrà luogo a New York dal 26 giugno al 7 luglio 2006 - ha ricordato che l'adozione, nel 2001, del Programma di Azione per prevenire, combattere e sradicare il traffico illecito di armi leggere e di piccolo calibro in tutti i suoi aspetti "sta avendo importanti ripercussioni sulla promozione del disarmo, della pace e della ricostruzione dopo i conflitti, così come sulla lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato". "Per questo, ha aggiunto, la Conferenza che avrà luogo quest'anno dovrebbe analizzare seriamente la possibilità di negoziare uno strumento legalmente vincolante sul traffico internazionale di armi, come un trattato sul commercio delle armi, basato sui principi fondamentali del diritto internazionale e in particolare sia sui diritti umani che sul diritto internazionale". Secondo il rappresentante della Santa Sede, la prevenzione e la lotta contro la proliferazione e il traffico delle armi leggere deve vedere "la partecipazione e la cooperazione della società civile".
Una necessità, quest'ultima ribadita dalla Campagna Control Arms che ha espresso apprezzamento per la posizione assunta dalla Santa Sede. "Condividiamo l'enfasi posta da mons. Celestino Migliore sul protagonismo della società civile" - afferma un comunicato di Amnesty International - promotore con Oxfam e Iansa della Campagna internazionale Control Arms. "E' altrettanto urgente - per Amnesty - "che entro l'anno la comunità internazionale faccia una scelta, se continuare ad essere complice di questo silenzioso massacro oppure darsi regole vincolanti per fermarlo". Nei giorni scorsi Amnesty ha diffuso tre rapporti che dimostrano come i controlli esistenti in Repubblica Democratica del Congo, Haiti e Sierra Leone non riescono a proteggere le vite dei civili innocenti. "Repubblica Democratica del Congo, Haiti e Sierra Leone producono pochissime armi, eppure sono inondate da armi usate per uccidere, mutilare, impoverire e rendere profughe centinaia di migliaia di persone. Ancora una volta, i tentativi di instaurare la pace vengono compromessi dalla mancata adozione di efficaci controlli sulle armi da parte dei governi. Per la salvezza di milioni di uomini, donne e bambini che continuano a vivere nel terrore della violenza delle armi, i leader mondiali devono cogliere quest'opportunità storica e avviare i negoziati su un trattato internazionale sulle armi" - ha sottolineato Denise Searle, direttrice delle campagne di Amnesty International.
Le tre associazioni promotrici della campagna Control Arms hanno chiesto al governo italiano e a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, "l'approvazione di un insieme di principi globali che sottomettano il commercio di armi al rispetto dei diritti umani e portino all'approvazione di un trattato internazionale entro il 2006". "I governi riuniti in questi giorni a New York", ha detto Riccardo Noury, portavoce in Italia dell'organizzazione, "devono riflettere su come rafforzare e migliorare il Programma di azione e decidere di passare dalle parole ai fatti, promuovendo norme internazionali efficaci e smettendo di vendere armi a paesi sotto embargo perché violatori dei diritti umani, come fa l'Italia con la Cina".
In Italia domani la Campagna di pressione alle 'banche armate' terrà a Roma il primo convegno nazionale a sei anni dal lancio dell'iniziativa. ""Una campagna - sottolinea il coordinatore Giorgio Beretta - che è stata il più delle volte la vera "cartina di tornasole" per esaminare il grado di coerenza e di "eticità" di tante iniziative promosse dalle banche, ma che ora è sotto forte pressione da parte del Governo che intende ancora una volta "riscrivere" la legge che 185/90 che regolamenta questa materia". "Adesso - aggiunge Marco Gallicani dell'Associazione Finanza etica - alcuni istituti bancari hanno fatto della finanza etica un prodotto da vendere, che sta acquisendo un mercato sempre più ampio. Proprio in questi giorni sulle prime pagine di tutti i giornali si parla dell'etica negli investimenti e nei finanziamenti. Questo mostra la validità e l'importanza del lavoro che noi stiamo facendo da anni". Al confronto parteciperanno, insieme agli esponenti della società civile e del pacifismo, i rappresentanti della politica e degli enti locali, gli istituti di credito, e dei sindacati
E sempre a Roma, domenica 15 gennaio la Rete Disarmo terrà l'Assemblea per fare il punto dopo due anni di azioni comuni. "Due anni di intenso lavoro che hanno riproposto all'attenzione della società civile un tema drammaticamente dimenticato negli anni scorsi, ma di importanza nevralgica in un periodo che vede l'aumento esponenziale delle spese per armamenti, ma - contemporaneamente - l'aumentare dell'insicurezza e delle minacce alla pace" - sottolinea Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. "Non va dimenticato infatti che in Italia non esiste ancora una legge che regolamenti i brokers, gli intermediari di armi che possono agire indisturbati nel nostro paese".
Anche in Lombardia la campagna che promuove la Legge regionale per la riconversione dell'industria bellica annuncia che grazie alla pressione popolare la proposta di legge è stata posta all'ordine del giorno della IV Commissione Attività Produttive del Consiglio Regionale ed invita i cittadini e firmare la petizione online affinchè la legge sia presto approvata.
Un problema urgente, quello della riconversione dell'industria bellica, alla luce anche dell'analisi fatta da Gianni Alioti (Fim-Cisl), nel corso di un recente convegno su armi, industrie e banche a Ciampino (Roma) dalla quale emerge la forte contrazione dell'occupazione nel settore dell'industria bellica nonostante l'aumento delle spese militari nel mondo. Nel campo dell'aeronautica, che assorbe il 70% di tutto il settore bellico, i lavoratori del settore militare sono passati, negli ultimi 25 anni 1981-2004) da 382 mila a 158 mila (-60%), mentre l'occupazione nell'aeronautica civile è cresciuta da 197 mila a 287 mila (+45%). In Italia le vicende di industrie come Elsag, Aermacchi, Agusta che hanno attuato un processo di riconversione o di diversificazione sono riuscite a tutelare meglio l'occupazione. ''In altri casi, dove si è rimasti legati solo al militare, si è assistito a forti riduzioni di organico'' (Oto melara, Breda, etc.) o a chiusure di aziende (Oerlikon, Selin, Cosmos, etc) - ha concluso il sindacalista. [GB]