Sdebitarsi: Argentina, la svolta di Kirchner

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Dalla campagna "Sdebitarsi": nei sondaggi consenso senza precedenti per il capo dello Stato. Dopo la crisi di due anni fa, l'economia torna a crescere. Nonostante la disoccupazione sia ancora al 30% e l'Fmi chieda riforme radicali, c'è ottimismo. Anche grazie alla volontà di cambiamento del nuovo inquilino della Casa Rosada.

Da Buenos Aires Anna Vullo

Qualcosa sta cambiando. Lo si percepisce leggendo i giornali, ascoltando i discorsi della gente nei caffè di nuovo pieni, partecipando alle affollate assemblee di quartiere. Fino a un anno e mezzo fa, ricordava la settimana scorsa su El Pais lo scrittore Tomàs Eloy Martìnez, in Argentina il futuro
sembrava morto. Decine di migliaia di persone lasciavano il Paese con in tasca il passaporto della terra dei loro nonni: nella gran parte dei casi, il Vecchio continente. Oggi, quelle stesse persone si dicono pronte a tornare. "Qualcosa
sta cambiando". Lo ha ripetuto qualche giorno fa la presidentessa delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela Carlotto - che da quasi trent'anni si batte perché venga fatta luce sulla sorte dei desaparecidos -, dopo che la Camera e il Senato, su impulso del presidente Nestor Kirchner, hanno votato l'annullamento delle leggi Punto final e dell'Obediencia debida, promulgate nel 1985 e 1986 dal governo di Raul Alfonsin per garantire l'impunità ai membri della ex giunta militare responsabili di sparizioni e torture tra il 1976 e il 1983. Una
decisione storica per il Paese, presa insieme a quella di aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1969 sulla non prescrittibilità dei crimini di guerra e contro l'umanità. Qualcosa sta cambiando e lo spiraglio lo ha aperto proprio Kirchner, un avvocato dal naso pronunciato il cui slogan si
potrebbe riassumere in due parole: "Fare pulizia". Di magistrati e poliziotti corrotti, di evasori fiscali, di militari che si sono macchiati di crimini orrendi. Quest'avvocato dall'aria spaesata, che ha militato nella Gioventù peronista negli anni Settanta e costruito la sua carriera politica in una
sperduta provincia della Patagonia, ha promesso poco in campagna elettorale e spiazzato tutti una volta arrivato alla Casa Rosada. Ha sfidato e costretto alla resa le Forze armate e il potere giudiziario, roccheforti considerate inespugnabili. Per il Paese, abituato, suo malgrado, all'impunità e alla
corruzione diffusa, una boccata d'aria fresca. E ha messo mano al portafogli per garantire un pasto ai più bisognosi, lanciando un "piano fame" che ha accresciuto ulteriormente la sua popolarità e che ricorda quello ben più reclamizzato del collega brasiliano Inacio Lula da Silva. Qualcosa sta
cambiando anche sul piano economico. Il tasso di disoccupazione resta altissimo (circa il 30 per cento), così come il numero di argentini entrati a far parte
dell'impressionante esercito di poveri: oltre la metà della popolazione. Ma la produzione industriale ha recuperato terreno e le esportazioni, grazie all'abbandono del cambio fisso con il dollaro, si sono rimesse in marcia. La competitività del Paese è aumentata del 39 per cento rispetto agli anni
Novanta, ed entro fine anno potrebbe crescere ancora. Secondo l'ultimo rapporto del Cepal (Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi), l'economia argentina - che ha patito la più spaventosa recessione del subcontinente -
oggi è paradossalmente quella più vicina al boom, tanto che nel 2003, secondo le stime, il tasso di crescita raggiungerà il 5,5 per cento, il più alto dell'America Latina. Qualcosa sta cambiando anche nelle relazioni con gli Stati Uniti, non più "carnali" come amava definirle l'ex presidente Carlos Menem.
Funzionari del ministero dell'Economia argentino stanno trattando con esponenti di una delegazione del Fondo monetario internazionale (Fmi) per arrivare ad un accordo che preveda il rinvio dei pagamenti sul debito per almeno tre anni, in cambio di una serie di riforme strutturali e di aumenti delle tariffe dei servizi pubblici. Il 9 settembre prossimo l'Argentina dovrebbe versare all'Fmi una rata di 2,9 miliardi di dollari su un debito di 12,6 miliardi, ma Kirchner ha già anticipato che, qualora non fosse raggiunta una nuova intesa, non intende pagare le scadenze con le riserve. Una decisione che ha fatto tremare l'Amministrazione americana: il costo di una crisi con gli organismi internazionali di credito potrebbe rivelarsi altissimo. Il vero banco di prova si avrà a settembre, all'inizio della tiepida primavera australe, quando Kirchner - oltre ad affrontare l'Fmi - dovrà avviare una serie di profonde riforme strutturali. Il Paese più "europeo" tra quelli latinoamericani è
chiamato a superare le difficoltà scaturite da un sistema politico tra i più corrotti e inefficienti al mondo e da un sistema economico che per decenni è rimasto legato a un modello agroesportatore: finora l'Argentina non ha fatto
che riprodurre scelte politico-economiche ancorate al passato, di chi privilegia il semplice export di materie prime, esponendosi così alla volatilità dei prezzi, senza puntare sulla crescita di settori e di produzioni specifiche. A Kirchner il compito di cambiare traiettoria.

Fonte: Campagna Sdebitarsi

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