Myanmar: repressione della polizia, intervenga l'Onu

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Un monaco è stato ucciso e numerosi feriti a Yangon stamane quando centinaia di agenti anti-sommossa sono entrati in azione per reprimere le manifestazioni nonviolente della popolazione del Myanmar guidata dai monaci buddisti e giunta al nono giorno, riportano le agenzie di stampa su segnalazione di Cecilia Brighi, responsabile del Dipartimento Esteri della Cisl.

Per disperdere i dimostranti gli agenti hanno impiegato anche lacrimogeni, hanno sparato in aria, ma hanno anche picchiato e arrestato i manifestanti. Sarebbero oltre 80 i monaci buddisti arrestati, una decina dei quali sarebbero stati picchiati dalle forze dell'ordine - riporta l'agenzia Misna. "Secondo quanto riferito da testimoni, i poliziotti sono intervenuti con lacrimogeni e bastoni per cercare di disperdere i partecipanti alla manifestazione, diretti alla Pagoda Shwedagon, divenuta uno dei simboli della rivolta. Fonti della Misna inoltre avrebbero confermato la notizia, circolata ieri sera, dell'arresto di Aung San Suu Kyi, capo dell'opposizione, che sarebbe stata trasferita dagli arresti domiciliari al carcere di Iansein, il più grande del paese, in cui sono detenuti gran parte dei prigionieri politici. La notizia del suo arresto era stata però smentita ieri dalle forze di polizia del Myanmar. Intanto a Yangon e Mandalay, le due principali città del paese, dalle 21 alle 5 è stato decretato il coprifuoco.

Il premier britannico Gordon Brown ha chiesto la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla situazione a Myanmar e Amnesty International ha chiesto l'invio immediato a Myanmar di una missione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. "La missione del Consiglio di sicurezza dovrebbe adottare misure urgenti per risolvere la crisi dei diritti umani in corso nel paese ed evitare il rischio di un bagno di sangue. La missione dovrebbe inoltre affrontare con le autorità di Myanmar i problemi legati alle perduranti violazioni dei diritti umani, tra cui la detenzione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e di altri prigionieri politici" - dichiara Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. "La Cina, come membro permanente del Consiglio di sicurezza e partner importante di Myanmar, deve giocare un ruolo fondamentale, così come i paesi dell'Asean, il Giappone e l'India devono usare la loro influenza per porre fine all'emergenza dei diritti umani in Myanmar" - conclude la Segretaria generale di Amnesty International.

In Italia, Cisl, Wwf, Greenpeace e Legambiente chiedono di mettere fine ai rapporti commerciali con il paese fino ad un cambio della situazione politica. Poiché tutte le principali attività economiche e produttive sono in mano o sono controllate dal regime militare o dallo stato le associazioni chiedono "alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Birmania e alle multinazionali, a partire da quelle impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas e minerario, nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture - che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti umani, sindacali, ambientali - di sospendere i loro rapporti con questo paese, per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere" e agli enti locali, alle Regioni, al governo Italiano "di impegnarsi attivamente per la attuazione della Risoluzione ILO nei confronti delle imprese e di istituire un sistema di disincentivi e di monitoraggio e rapporto regolare all'ILO, sul comportamento delle imprese".

Da molti anni in Myanmar vi è una situazione di sostanziale negazione dei fondamentali diritti umani: Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e leader della Lega nazionale per la democrazia, è privata della libertà da 17 anni; le leggi in vigore criminalizzano l'espressione pacifica del dissenso politico; gli arresti avvengono spesso senza mandato e i detenuti sono costretti a trascorrere lunghi periodi d'isolamento; la tortura è praticata regolarmente nel corso degli interrogatori; i processi nei confronti degli oppositori politici seguono procedure non in linea col diritto internazionale e agli imputati viene frequentemente negato il diritto a scegliere un avvocato. [GB]

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