Un premio per monsignor Kaigama, vescovo di pace

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“Sempre più persone parlano di dialogo ma i giornalisti non lo raccontano, come se preferissero le bombe”: a parlare è monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, a Roma per ricevere il premio Colombe d’oro per la pace.

L’arcivescovo, si legge nella motivazione diffusa dagli organizzatori di Archivio Disarmo, è “uomo di dialogo che non si limita a condannare le violenze ma si adopera attivamente per interrompere la spirale d’odio”. Un lavoro cruciale in Nigeria, dove gli attentati del gruppo islamico Boko Haram contro caserme di polizia, chiese o mercati dominano ormai da mesi i notiziari e le pagine dei quotidiani nazionali.

Monsignore, che significato ha per lei questo premio?

“È un incoraggiamento. Dimostra che il nostro desiderio di pace e di armonia nella società è condiviso da molti. Quando c’è una crisi ci si può sentire delusi o soli. Questo premio vuol dire che adesso non siamo soli. Che c’è un sostegno morale forte”.

Il riconoscimento di Archivio Disarmo è legato alla ricerca di “soluzioni non violente ai conflitti, indipendentemente dalle appartenenze politiche, nazionali o religiose”. Cosa si muove, in questo senso, in Nigeria?

“Le persone che parlano di dialogo sono sempre di più. Prima pronunciare questa parola era tabù, anche per la Chiesa. Ora i rappresentanti di tutte le religioni sottolineano che il dialogo è l’unica soluzione possibile. Lo dicono, è paradossale, anche i soldati: imbracciano il fucile, ma si rendono conto che bisogna ascoltare”.

E gli attentati di Boko Haram? Solo nella città di Kaduna, il mese scorso, attentati e rappresaglie indiscriminate hanno provocato più di 100 vittime…

“Gli attentati contro le chiese sono stati definiti ‘contrari alla religione’ dal sultano di Sokoto e da altri rappresentanti della comunità musulmana. E’ un fatto incoraggiante. All’orizzonte vedo segnali di speranza. Se saremo in grado di intensificare il dialogo con i nostri fratelli musulmani, Boko Haram sarà messo in minoranza e la strategia della violenza diventerà irrilevante”.

Cosa deve fare il governo della Nigeria?

“Deve essere più pronto, capace di prevedere e anticipare. Finora è intervenuto solo dopo che il male era già stato compiuto. Come vescovi abbiamo chiesto più impegno per un possibile dialogo con Boko Haram, un miglior coordinamento tra gli enti preposti alla sicurezza e una maggior condivisione con i paesi che hanno esperienza in materia di lotta al terrorismo. Siamo molto preoccupati perché Boko Haram punta ad alimentare tensioni tra cristiani e musulmani e tra il nord e il sud della Nigeria. Sono pochi ma determinati. Il loro è un gioco pericoloso”.

E i mezzi di informazione? Quale contributo possono dare per la pace?

“Finora hanno fatto molta pubblicità a Boko Haram. Invece di raccontare il lavoro quotidiano che la Chiesa, i rappresentanti delle comunità musulmane o le organizzazioni non governative fanno per tentare di favorire il dialogo puntano tutto sugli attentati. Danno un’immagine della Nigeria esclusivamente al negativo. Anche i giornalisti, invece, dovrebbero partecipare alla risposta multidimensionale necessaria per sconfiggere la violenza”.

Da Misna

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