Tibet: due condanne a morte, nessuna giustizia per le vittime della repressione cinese

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Numerose le proteste delle associazioni per la sentenza emessa dal tribunale di Lhasa che ha condannato a morte due tibetani che avevano preso parte alle proteste del marzo 2008. I due imputati, Losang Gyaltse e Loyar, sono stati giudicati colpevoli di omicidio. Altre due persone sono state condannate a morte con sospensione della pena per due anni e un quinto imputato è stato condannato all'ergastolo.

Amnesty International ha deplorato la sentenza e chiede che le pene siano commutate. Una delle due condanne a morte con sospensione della pena per due anni riguarda Tenzin Phuntsog che ha ammesso le proprie colpe dopo l'arresto. Amnesty teme che questa confessione possa essere stata estorta con la tortura, che rimane diffusa in tutto il paese. "I tribunali cinesi normalmente ritengono ammissibili prove ottenute in questo modo" - riporta Amnesty.

"La condanna a morte dei due tibetani senza un equo processo è un omicidio di Stato" - ha commentato a AsiaNews, Urgen Tenzin, direttore esecutivo del 'Tibetan Centre for Human Rights and Democracy'. "Queste condanne dimostrano solo che la Cina non si cura delle violazioni dei diritti umani e dell’opinione internazionale, segue soltanto le proprie politiche. I tibetani sono stati umiliati e stritolati dai repressivi funzionari cinesi". Secondo Pechino le proteste del marzo 2008 avrebbero causato 19 morti, tutti cinesi. Fonti tibetane, invece, hanno sempre parlato di almeno 200 morti tibetani, uccisi da esercito e polizia. In seguito alle proteste del marzo 2008 "oltre 6mila tibetani sono stati arrestati e circa 2.019 già processati in processi non equi, spesso sotto tortura fisica e psicologica per estrarre da loro ‘confessioni’" - sottolinea Urgen Tenzin.

Anche l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha protestato vivamente per le sentenze. "Le condanne a morte sono espressione di una profonda ingiustizia che ignora ogni basilare regola giuridica internazionale. Agli imputati era stata negata un'adeguata assistenza legale e di fatto il verdetto era stato deciso già prima del procedimento" - riporta un cominicato di APM. "Invece di interrogarsi sui motivi delle proteste a Lhasa, da mesi le autorità cinesi stanno processando Tibetani con processi segreti per evitare ogni possibilità di ulteriori proteste. Pechino dovrebbe invece processare le Forze di sicurezza responsabili di aver causato la morte di oltre 200 manifestanti tibetani da marzo 2008 a oggi" - sottolinea APM..Un motivo delle violenze è l'immigrazione di Cinesi Han nella capitale tibetana voluta dalle autorità cinesi e che ha ridotto la popolazione tibetana a Lhasa a solamente il 20% della popolazione cittadina. "Il progressivo impoverimento della popolazione tibetana rispetto ai Cinesi Han contribuisce a innalzare la tensione e la violenza" - evidenzia APM.

Nei mesi scorsi le zone abitate da tibetani sono state sotto legge marziale di fatto, per timore di proteste in occasione dell’anniversario di quelle del 2008. E’ stata repressa qualsiasi protesta, anche pacifica, con l’arresto e percosse. "Negli ultimi 13 mesi il controllo sulle informazioni provenienti dal Tibet è stato rigido" - riporta Amnesty. Le autorità di Pechino hanno redatto una lista di giornalisti indesiderati - documenta un rapporto Human Right Watch - e ai giornalisti stranieri - hanno potuto visitare la regione solo in visite guidate di gruppo organizzate dal governo, mentre agli osservatori dell'Onu sui diritti umani l'accesso è stato negato del tutto.

Nonostante la chiusura della regione e il recente aumento della presenza militare, Amnesty International sta ricevendo segnalazioni di violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione tibetana: detenzioni e arresti arbitrari, prolungati periodi di carcere, negazione del diritto di espressione, associazione e riunione nonché del diritto dei tibetani di preservare cultura, linguaggio e religione. [GB]

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