Rwanda: sì alla nuova Costituzione

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Nove ruandesi su dieci hanno detto sì alla proposta della nuova Costituzione, sottoposta ad un referendum popolare che ha visto la partecipazione dell'87 per cento dei circa 4 milioni aventi diritto al voto, il cui 93 per cento ha espresso un voto favorevole. Le modifiche apportate alla carta costituzionale del 'Paese delle mille colline', sconvolto nel 1994 dal genocidio di centinaia di migliaia di persone, in prevalenza tutsi (oggi al potere) e hutu moderati, introducono per la prima volta una forma di multipartitismo e aprono la strada al suffragio universale, seppur limitato a un solo ramo del Parlamento. A completamento del passaggio istituzionale in atto, in agosto si dovrebbero svolgere le elezioni presidenziali e nel mese di ottobre è previsto il voto per il rinnovo del Parlamento.

La Carta fondamentale, in vigore dal prossimo luglio, prevede un governo presidenziale della durata di sette anni, rinnovabile soltanto una volta. Ma non tutti gli osservatori sono convinti che la transizione in corso possa davvero favorire il clima di riconciliazione nel Paese. Come ha riferito l'agenzia Misna, poche settimane fa il governo del presidente Kagame ha dichiarato l'intenzione di sciogliere il Movimento democratico repubblicano (Mdr), principale partito di opposizione, espressione della componente etnica hutu, perché accusato di 'dividere' il Paese. La nuova costituzione proibisce l'esistenza di partiti su base etnica, ma secondo alcune fonti questa norma rischia di consolidare la posizione del Fronte patriottico ruandese (Fpr), il partito del capo di Stato.

In questi giorni la Corte penale internazionale per il Rwanda (Tpir) ha confermato in appello la condanna all'ergastolo pronunciata nel 1999 contro Geroges Rutaganda, un ex comandante delle milizie hutu Interhamwe, per la sua partecipazione al genocidio del 1994. Inoltre il Tpir ha condannato all'ergastolo Eliezer Niyitegeka, ministro dell'informazione in Rwanda nel 1994, chiamato a rispondere di otto capi d'accusa, in particolare di "genocidio" e "crimini contro l'umanità" ma anche di abusi sessuali e cospirazione.

Nel frattempo un recente rapporto del Gruppo Internazionale di Crisi afferma la necessità di un nuovo approccio per il disarmo e la reintegrazione dei ribelli ruandesi hutu che si trovano nella parte est della Repubblica Democratica del Congo. Il rapporto riconosce l'esito fallimentare dell'attuale meccanismo di disarmo dei gruppi armati attuato dalla Missione ONU in Congo (MONUC).
I ribelli filo-ruandesi della Coalizione democratica congolese (Rcd-Goma) hanno sospeso la propria partecipazione al comitato che sta gestendo il processo di transizione nella Repubblica democratica del Congo, con il rischio di rallentare ora il fragile processo democratico in corso nel Paese.

Fonti: Misna, Allafrica, UN Integrated Regional Information Networks;

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