Venezia. La “maledizione” di San Zaccaria

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Foto: Unsplash.com

A Venezia, alle spalle ed a pochi passi dalla Basilica di San Marco, si trova la bellissima chiesa di San Zaccaria, una perla del rinascimento veneziano. Edificata nel IX° secolo per accogliere le sacre spoglie del padre di San Giovanni Battista, donate a Venezia dall'imperatore bizantino Leone V l'Armeno. Alla prima struttura si aggiunse un convento di suore benedettine fatto edificare con il beneplacito dei dogi Angelo e Giustiniano Partecipazio. Erano tutte sorelle che arrivavano dalle famiglie bene della Repubblica marinara. Ricche non solo di nascita. Nel monastero trovò ospitalità, infatti, Papa Benedetto III nell'anno 855 mentre era in fuga dalla violenza scatenata dall'antipapa Anastasio. Per gratitudine alle benedettine il Pontefice donò molte reliquie, che divennero il vanto del monastero.

Si fissò la consuetudine che nel giorno di Pasqua il doge si recasse con il suo entourage a far visita a questa chiesa, in segno di gratitudine alle monache per aver concesso il suolo su cui venne edificata la cappella ducale, che era di loro proprietà. In quest'occasione il doge presentava alla badessa il riccamente ingioiellato corno ducale (copricapo), usato solamente per la solenne incoronazione e poi riposto, salvo appunto questo rituale. 

Purtroppo un tremendo incendio nel 1105 sterminò un centinaio di consorelle e la maledizione contro le potenti sorelle, da allora, non si fermò. 

Se apriamo infatti Wikipedia alla voce Convento di San Zaccaria troviamo scritto: “molti sono i racconti sulla vita che si teneva in questo luogo, nonostante la clausura, feste e divertimenti non mancavano per queste giovani monache che avevano trasformato il loro parlatoio in un elegante salotto meta di concerti e spettacoli vari, con un continuo "pellegrinaggio" di giovani cavalieri mascherati”. Dìceria che rimbalza in diversi siti internet ove si narra il malcostume delle monache. 

In realtà le raffigurazioni iconografiche dentro chiesa dimostrano tutt'altra storia ben narrata dalla storica Anna Maria Rapetti dell'Università di Venezia.  Ella porta alla luce l'importanza della presenza e dell'azione femminile nelle società del passato e, in particolare, il ruolo propulsivo della componente femminile del monachesimo medievale non solo in ambito religioso e spirituale ma anche sociale e politico. I documenti ci parlano della badessa Casota Caisolo che agisce a nome dell’ente e della comunità delle monache e di altre quattro monache che la assistono Emerienziana, Celestina, Calandria, Imilia, persone in carne ed ossa con nome e cognome; cosa impensabile all'epoca. Esse furono in grado di costruire una rete di appoggio, una tela di relazioni sociali con uomini potenti, ecclesiastici e laici, vicini e lontani: il doge, il patriarca, alcuni aristocratici veneziani, ma anche l'abate di Cluny e persino, forse, il papa. Rapetti sottolinea come furono le monache le vere artefici di quel progetto di rilancio del loro San Zaccaria, che pianificarono con cura, intelligenza e attenzione agli aspetti della comunicazione.

Le “murate vive” uscirono dalla clusura suscitando scandolo per trattare direttamente con il podestà di Verona e con le principali autorità comunali, giudici e consoli per l'acquisizione di fondi tra Legnago e San Giovanni Lupatoto. Vennero a tal fine affiancate dalla delegazione veneziana e riuscirono a concludere un accordo che ebbe grande importanza non solo per San Zaccaria, ma anche, sul piano politico e strategico, per Venezia.

Il successo che accompagnò il convento suscitò invidia da parte degl'impotenti di ogni epoca che non riuscivano ad avere tutta quell'attenzione sia da parte del trono che dell'altare. L'invidia portò ad una maldicenza talmente radicata che anche le guide turistiche d'oggi narrano il monastero come luogo del malaffare. In realtà Venezia tutta, come quasi tutte le città di mare, viveva anche del mestiere più antico del mondo che nel XVI° secolo veniva educatamente descritto come “cortigiano o cortigiana”. Mentre il primo rischiava l'impicaggione in pubblica piazza in quanto l'omosessualità era vietata molti religiosissimi veneti s'accoppiavano con le cortigiane del tempo. Ed il tutto veniva regolarmente tassato e aiutava a mantenere lo splendore della Serenissima.  

Una curiosità. Ebbe origine nel convento di San Zaccaria la parola “broglio”. Trattasi di una donazione fatta dalle monache alla città di Venezia, cui cedettero parte del loro orto, il Brolo in veneziano (poi Broglio), per allargare la piazza antistante la chiesa. Più tardi la piazzetta, diventata del Broglio, divenne meta dei nobili squattrinati che qui venivano a vendere i propri voti per l’elezione del Maggior Consiglio. Insomma, si trattava di un vero e proprio “broglio elettorale” che interessò più i maschietti politicanti che le nostre generose suore. La maledizione (dire male) che investe questo luogo sacro narra anche di una “chiesa degli omicidi”; in realtà vi stanno sepolti i primi otto dogi uno dei quali fu pugnalato. Ma ciò non significa che fu ammazzato proprio in quel luogo e anche fosse siamo al singolare e non al plurale. 

Ma quali sono le principali opere d'arte di San Zaccaria? Innanzitutto l'eponima pala di San Zaccaria realizzata nel 1505 da Giovanni Bellini che il sacrestano accende ad inizio di ogni Santa Messa. E' una delle opere più importanti della Storia dell'Arte Moderna, celebrata in tutti i manuali della disciplina, un ponte tra Piero della Francesca, Giorgione e Tiziano. A fare compagnia a Giovanni Bellini, un altro importante autore del primo Rinascimento, Andrea del Castagno, autore del ciclo di affreschi eseguito tra il 1442 ed il 1444 per la cappella di San Tarasio, l'abside dell'antica chiesa. 

Ma il dipinto che meglio racchiude la storia di quel luogo che fu abitato da donne straordinarie è la “nascita di San Giovanni Battista. A parte Zaccaria vi sono solo bellissime figure femminili intente ad aiutare Elisabetta. Trattasi di un capolavoro del '500 Veneziano di Jacopo Tintoretto. Dovrete esser gentili con il Sagrestano custode se volete ammirare la nascita del Battista e non chiedere l'accesso durante le liturgie. 

Se vi capita di essere accompagnati da una guida che vi narra delle suore come donne di malaffare o la chiesa degli omicidi (che sono per lo più trucchi per attirare l'attenzione di comitive distratte) avete ora qualche argomento per smentire inutili dicèrie e trasformare la maledizione in benedizione. 

Fabio Pipinato

Sono un fisioterapista laureato in scienze politiche. Ho cooperato in Rwanda e Kenya. Sono stato parte della segreteria organizzativa dell'Unip di Rovereto. Come primo direttore di Unimondo ho seguito la comunicazione della campagna Sdebitarsi e coniato il marchio “World Social Forum”. Già presidente di Mandacarù, di Ipsia del trentino (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) e CTA Trentino (Centro Turistico Acli) sono l'attuale presidente di AcliViaggi. Curo relazioni e piante. 

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