Tunisi: i diritti, lo sviluppo e il gioco della torre

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Una democrazia vive di equilibri. Una giovane democrazia, non di rado, di equilibrismi. Ciò che sta accadendo al piccolo Stato arabo, stretto fra ansie di progresso e minacce terroristiche, si inserisce in questo solco, per certi versi fatale: trovare la quadratura del cerchio fra libertà dei cittadini e sicurezza. Un bilanciamento dagli esiti imprevedibili, che richiede una raffinata elaborazione politica, e che chiama in causa l’Italia, il suo ruolo di interlocutore regionale, e parimenti la sua storia: fatta di salvaguardia delle tutele democratiche e guerra (vincente) al terrorismo. Riuscirà la Tunisia post-rivoluzionaria a vincere la sfida di una complessa armonizzazione, fra interessi contrastanti? Riuscirà Roma a giocare un ruolo in questa difficile partita, forte di una posizione che appare di rilievo, non solo in termini geografici, e di un’esperienza non comune, su un terreno tanto scivoloso? Ecco il quadro.

Un dramma che ci divide. Titolava così, non molti giorni addietro, La Presse: il principale organo di stampa tunisino. Oggetto dell’analisi: la minaccia fondamentalista, che getta un’ombra cupa sulla percezione, interna ed estera, delle pur molte conquiste, che hanno avuto origine dalla primavera democratica

Stando ai numeri, non v’è dubbio che di dramma si tratti: i dati resi noti dai ministeri dell’Interno e della Giustizia suscitano, infatti, una fondata preoccupazione. Soprattutto per il rapporto, stridente e terribile, che intercorre fra numero dei fatti criminosi ed esiguità di una popolazione che non arriva agli undici milioni di unità: in soli tre anni, oltre mille arresti, seicento procedimenti penali aperti, circa millesettecento persone alla macchia. Sono voci che spaventano, poiché evocano un bollettino di guerra. Di guerra civile.

Tuttavia, non occorre esagerare. Benché gli scontri, che oppongono gli oltranzisti alle forze governative, siano tutt’altro che sporadici, particolarmente nel sud, a ridosso delle frontiere con la Libia e l’Algeria, la situazione è lontana dall’apparire fuori controllo. Ciò che inquieta, è piuttosto il tentativo (malcelato) di alzare l’asticella degli obiettivi: ha destato scalpore, nel Maggio scorso, l’attacco portato a termine da un gruppo armato (non ancora identificato) al domicilio del Ministro dell’Interno Lofti Ben Jeddou, nel governatorato di Kasserine: Tunisia centro-occidentale. L’azione ha portato alla morte di quattro agenti della Guardia Nazionale: la polizia militare, impegnata in prima linea nel contrasto del terrorismo di matrice religiosa. Quattro giovani martiri, appena ventenni, che si uniscono all’ormai ampio numero di caduti, sulla via di una sofferta (e inedita) convivenza democratica. Un colpo durissimo, che però rappresenta più un sintomo di debolezza, che di vitalità del terrorismo, giacché gli obiettivi degli eversori appaiono estemporanei: incapaci di ottenere i risultati prefissati e di favorire più ampie strategie, come nei tragici precedenti degli omicidi Belaid e Brahimi.   

Il problema è un altro: il lento stillicidio rischia di spingere il Governo di Mehdi Jomaa e l’Assemblea nazionale costituente (che funge ancora da organo legislativo) verso posizioni più intransigenti, proprio in un momento in cui si discute la riforma della vecchia legge antiterrorismo, emanata nel lontano 2003: ben prima della Rivoluzione dei gelsomini. Il timore è che il bisogno di sicurezza, divenuto pressante anche in virtù delle difficoltà del settore turistico, conduca, nell’ambito della repressione e dell’azione penale, a soluzioni scarsamente garantiste, a discapito (e a dispetto) di quei diritti faticosamente fissati nella Costituzione di Febbraio.

Non deve meravigliare: la sfida lanciata dal terrorismo alle istituzioni dello Stato, durante gli anni di piombo, comportò anche da noi un dibattito sulla necessità di misure “speciali”, che derogassero alle normali procedure. In quel caso, le forze democratiche seppero infliggere un colpo decisivo al terrorismo, senza snaturare l’impianto liberale dell’azione pubblica, con un’opera paziente e (talvolta) dolorosa, sia sul piano culturale che giuridico. Un esempio positivo, che prova la possibilità di contemperare diritti inalienabili della persona e contrasto efficace delle insidie criminali. L’auspicio è che la cooperazione sul terreno della sicurezza, testimoniata dalla recente visita in Tunisia del Ministro della Difesa Roberta Pinotti (il 12 Giugno scorso), non si limiti allo scambio di mezzi e informazioni, ma si faccia veicolo virtuoso di esperienze. Poiché, per garantire un sereno sviluppo di entrambe le sponde del mediterraneo, sarà bene che sulla torre dei nostri vicini d’oltremare rimangano sia l’ordine, che una democrazia compiuta. Senza macchie.

Omar Bellicini

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