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Teach the Genocide! L'iniziativa delle indigene canadesi
Religione
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Immagine: Facebook.com
“È difficile da accettare, ma non è discutibile. C'è stato un genocidio contro gli indigeni in Canada”. Da questa convinzione è partita l'idea di insegnare alle nuove generazioni come si è compiuta la strage delle donne e degli uomini indigeni perché “solo ammettendo gli errori del passato possiamo avere la riconciliazione”. Per farlo l'Associazione delle Donne Native del Canada (Nwac), ha realizzato 'Teach the Genocidio!' un portale che mette a disposizione materiali da presentare nelle classi delle scuole canadesi e non solo.
L’Associazione delle Donne Native del Canada (Nwac) è un’organizzazione indigena che dà voce alle ragazze, le donne e le persone gender-diverse di origine indigena. Oltre che verso gli insegnanti l'attenzione della Nwac, nata nel 1974 dall’unione di 12 associazioni provinciali e territoriali, si rivolge oggi al governo, chiedendo di “includere la vera storia del Canada nei programmi delle scuole superiori”. “Teach the Genocidio!” racconta, attraverso un percorso didattico per immagini, come, “gli indigeni venivano sistematicamente assassinati, feriti, sterilizzati e derubati con l’intento di distruggere le comunità”.
Il processo che ha portato al riconoscimento del genocidio degli indigeni in Canada è stato lungo e molto controverso. Tra il 2005 e il 2010 la Nwac ha creato un database dedicato alla scomparsa e all’uccisione delle donne indigene: in cinque anni sono stati registrati 582 casi. Per mantenere viva la memoria e l’attenzione su questi casi, spesso ignorati dalle forze dell’ordine, nel 2012 la Nwac aveva lanciato il Faceless Doll Project. Insieme all’artista Gloria Larocque sono state ritagliate 600 sagome di donne, 600 di capelli e 600 di vestiti, per creare altrettante bambole in feltro.
Nel 2015 si è istituita un’inchiesta nazionale, la Canadian National Inquiry into Missing and Murdered Indigenous Women and Girls, che dal 2015-2019 ha fatto una ricerca mirata e sistematica sulle cause della violenza contro le donne e le ragazze indigene. L’indagine si è avvalsa di udienze pubbliche (con comunità, istituzioni, esperti e “custodi del sapere”), consultazione di ricerche passate e presenti, analisi forense dei verbali della polizia. L’indagine si è conclusa con 231 richieste di giustizia e con l’introduzione del termine “genocidio” riferito agli atti di violenza contro donne, ragazze e persone gender-diverse di origine indigena. Il Rapporto finale comprende le verità di oltre 2.380 familiari, sopravvissuti alla violenza, esperti e custodi della conoscenza.
I risultati dell’inchiesta hanno portato la Nwac a lanciare la seconda parte del Faceless Doll Project, in cui si è passati a “mettere una faccia” alle 600 bambole. L'iniziativa ha coinvolto ancora una volta le scuole. Sono stati messi a disposizione dei kit con guida, quaderni, matite, feltro colorato, modelli e accessori per creare le nuove bambole, ma questa volta avevano un’identità. Lo stesso kit è stato inviato anche ad ogni parlamentare.
“Le donne e le giovani indigene scomparse e uccise non sono più senza faccia – aveva dichiarato la Nwac – Adesso è il momento di mettere le facce alle nostre bambole, un simbolo visivo di risanamento e trasformazione e un modo per onorare e riconoscere che le voci delle nostre donne e delle loro famiglie sono state ascoltate”.
Ma nel mirino non c'erano solo le donne indigene. Si stima che tra il 1880 e il 1996 sono stati 150mila i bambini indigeni che sono stati prelevati con la forza dalle loro famiglie per essere inseriti nelle cosiddette scuole residenziali. Nel 1951, le revisioni dell’Indian Act, creato nel 1876 per controllare e assimilare le popolazioni indigene, concessero infatti alle agenzie provinciali di assistenza all’infanzia l’autorità sulle riserve, il che portò a un tasso impressionante di sottrazione di bambini indigeni alle loro famiglie.
“Voglio liberarmi del problema indigeno – scriveva Duncan Campbell Scott, scrittore canadese che aveva supervisionato il funzionamento delle scuole residenziali - Il nostro obiettivo è continuare finché non ci sarà più un indigeno che non sia stato assorbito nel corpo politico, e non ci sarà più una questione indigena, né un dipartimento indigeno”.
La commissione di inchiesta ha rilevato che in queste scuole migliaia di bambini sono morti a causa di malattie, abusi, abbandono e fame. A conferma di ciò nel giugno 2021 nel terreno dell’ex scuola residenziale nella città di Kamloops sono stati rinvenuti i resti di 215 bambini in fosse comuni. Da lì sono ripartiti gli scavi che hanno portato alla luce, pochi giorni dopo, oltre 750 tombe anonime nell'ex collegio cattolico di Marieval nella provincia di Saskatchewan, nella Colombia Britannica. La scuola faceva parte di una rete di oltre 130 collegi gestiti dallo stato e dalla Chiesa. I bambini morti per maltrattamenti sarebbero stati circa seimila.
La discriminazione però non appartiene solo al passato. L'associazione delle donne native denuncia infatti che persistono grandi disparità nella società canadese. Le donne indigene sono sovrarappresentate nel sistema carcerario, rappresentando il 42% di tutte le donne condannate a livello federale e il 50% dei collocamenti di massima sicurezza per le donne.
Ma nel mirino c'è proprio l'intera impalcatura legale, visto che l'indian Act è ancora in vigore. “L’Indian Act – sostiene l'associazione - perpetua il sessismo, il razzismo e il classismo e deve essere smantellato in modo che tutte le donne, le ragazze e le persone indigene possano realizzare la loro visione di libertà, indipendenza e onore”.
Alice Pistolesi

Giornalista, è laureata in Scienze politiche e Internazionali e in Studi Internazionali all’Università di Pisa. Viaggia per scrivere e per documentare, concentrandosi in particolare su popolazioni oppresse e che rivendicano autonomia o autodeterminazione. È redattrice del volume Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo e del sito Atlanteguerre.it dove pubblica dossier tematici di approfondimento su temi globali, reportage. È impegnata in progetti di educazione alla mondializzazione e alla Pace nelle scuole e svolge incontri formativi. Pubblica da freelance su varie testate italiane tra le quali Unimondo.org.