Musulmano non fa rima con terrorista, ma con cristiano

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Islam, Isis, musulmani: mentre il mondo torna in guerra, regna il caos. Le idee sono poche e ben confuse, il rischio di commettere clamorosi errori di valutazione e fare di ogni erba un fascio altissimo. Serve chiarezza, a partire dall’informazione e da noi stessi.

Le date sono importanti: mentre comincio questo articolo è il 20 novembre. Settanta anni fa cominciava a Norimberga il processo ai gerarchi nazisti, condannati, tra i primi nella storia, per i delitti contro l’umanità.

Oggi il rischio di vedere il mondo collassare in modo folle al grido di “Dio lo vuole”, è, sia per il nord del mondo che per il mondo arabo molto più di un’eventualità.

Risuonano spaventosamente le parole del presidente francese Hollande pronunciate con volto contrito ma convinzione inappellabile “Siamo in guerra, e chi si è messo contro la Francia ha sempre perso” allo stesso modo l’Isis tuona da dove un tempo esistevano paesi chiamati Siria e Iraq “ la vostra fine è vicina, l’occidente cadrà”.

In questa diatriba, folle ma palpabile e sempre più foderata d’odio, ci stanno andando di mezzo coloro i quali, musulmani in ogni parte d’Europa e del mondo, vivono la loro vita integrati o cercando di integrarsi nelle società che li ospitano e nelle quali sono nati.

Parliamo chiaro, il gioco della Lega e di chi il 21 novembre ha organizzato una manifestazione al Brennero per “difendere e chiudere i confini” è becero e pericoloso. Lo scopo è chiarissimo: far crescere l’odio per il diverso: ieri era il terrone/profittatore, oggi il musulmano/terrorista, domani il vicino di casa calvo/antipatico?

Noi italiani, fermo restando l’opinione personale di ognuno, non meritiamo di essere considerati talmente ignoranti da poter accettare senza opporci una simile strumentalizzazione, ovvero quella di sovrapporre tout court l’aderire ad una religione con l’aderire ad un presunta volontà di guerra e distruzione.

Bene ha fatto l’unione delle comunità islamiche d’Italia a condannare i fatti di Parigi e a chiamare tutti a raccolta “L’UCOII esprime la propria solidarietà e vicinanza al popolo francese in questi momenti drammatici. Condanniamo fermamente il terrorismo cieco che colpisce persone innocenti seminando paura e terrore tra la popolazione. E sottolineiamo la necessità di unità e coesione di fronte a qualsiasi minaccia e fare prova della fermezza assoluta. Esprimiamo infine le nostre sincere condoglianze alle famiglie delle vittime e condividiamo con tutto il popolo francese il rammarico dolore.”

Questo pensa la stragrande maggioranza degli islamici nel nostro paese molti dei quali, giova ricordarlo, sono perfettamente integrati nella nostra società e più italiani del sottoscritto.

"Questo non è l'Islam" spiegava l’altra notte subito dopo gli attentati di Parigi Sumi, nativa di Tunisi ma residente da anni in Sicilia e mediatrice culturale alle scuole elementari di Palermo “solo tendendo la mano e cercando cosa si ha in comune e non cosa ci separa possiamo vincere il pregiudizio”  e di fronte al massacro di Parigi e alla conseguente onda di razzismo e diffidenza che i kalashnikov hanno scatenato, chiede ai suoi connazionali di aprirsi alle città nelle quali vivono " a chi non vuole integrarsi spiego che sbaglia perché l’isolamento porta diffidenza e ghettizzazione”

Allo stesso modo Nadine Abdia, trentaseienne dirigente sindacale Cisl, nata a in Tunisia ma trapiantata in Sicilia, ha portato in piazza il suo megafono, lo stesso che usa per le manifestazioni nelle quali si batte per il futuro di tutti i lavoratori, cristiani e musulmani, arabi e italiani, e ha scandito, tra gli applausi dei siciliani "Stanotte avrei voluto piangere ma ho passato le ore a difendermi " raccontando quanto fa male odiare lo stesso nemico – che si chiama terrorismo, non islam - ma essere considerati stranieri da chi si considera connazionali. “L'Isis uccide anche in Tunisia.” ha continuato” pochi giorni fa a Tunisi la testa di un ragazzo di 17 anni è stata fatta recapitare alla madre e questo non ha nulla a che vedere con la religione islamica. Esiste una sola faccia dell'Islam, quella che invita alla pace, alla fratellanza e all'amore".

“No!” gridano tutti i musulmani d’Italia accorsi a migliaia alle manifestazioni di pace “quelle bombe non sono scoppiate nel nostro nome o con la nostra approvazione e quei proiettili non hanno ucciso in nome dell'Islam.”

Per fortuna in molti paesi italiani da nord a Sud i cittadini, le amministrazioni comunali e le associazioni hanno sfilato insieme con i migranti e gli appartenenti alla comunità islamica e questo è fondamentale per non cadere nel tranello dell’odio che fa proprio il gioco dell’Isis e dei terroristi

La parola chiave? Esiste, ed è integrazione. Sembra quasi un’esplicita scelta divina, un prezioso monito, osservarla realizzata appieno nel Sud italia, spesso dipinto, sbagliando clamorosamente, come luogo inospitale e ingrato persino per chi vi è nato. Fortunatamente la Sicilia e i siciliani e con essi tutti gli abitanti del Sud e anche del resto d’Italia, l’islam e gli islamici non sono come li dipingono o come li vorrebbero Salvini e come li descriveva Oriana Fallaci, assurta al ruolo di iconica postuma eroina razzista chic.

Mohamed Shapoor, ad esempio, fa il cuoco in un locale di Ballarò. È arrivato in Italia nel 2002, scappando da Kabul dove era costretto a combattere contro i talebani; oggi ha 45 anni e ha trovato la sua dimensione: "I cattivi si nascondono in tutte le religioni, questa è una guerra e siamo tutti in pericolo e le vittime sono gli innocenti, musulmani o cristiani che siano".

Nadil Dhifallah, 26 anni, è arrivato a Lampedusa a bordo di un barcone 5 anni fa ma sentendolo parlare sembra nato qui. Il suo italiano è impeccabile e oggi fa il mediatore culturale. La storia su come ha imparato la nuova lingua è un simbolo di integrazione e solidarietà "L'ho imparato al centro di accoglienza. Me l'ha insegnato una volontaria della Croce Rossa alla quale io ho insegnato l'arabo".

Per Nadil fare in modo che l'Islam sia identificato con il terrorismo è una scelta "un fuoco da alimentare per far sì che questa diventi una guerra, che è la più becera strategia in tempo di crisi economica; ma purtroppo non basta indignarsi, bisogna reagire e lavorare perché le cose vadano diversamente.”

Nadil ha ragione, bisogna avere il coraggio di spiegare le cosa come stanno, a partire dai mezzi di informazione. L’odio sputato attraverso certi programmi televisivi e certi quotidiani - con titoli così terribili da meritare l’oblio istantaneo – hanno già cominciato a dare i primi marci frutti. A Bologna alcune ragazze sono state aggredite solo perché avevano il velo, e ritornano alla memoria eventi similari avvenuti immediatamente dopo l’11 settembre 2001.

Per fortuna il web può anche darci una mano, come testimonia il video di un ragazzo che musulmano in Francia il giorno dopo gli attentati si è bendato, si è posizionato a braccia aperte in una piazza di Parigi e ha scritto su un cartello: sono musulmano, non terrorista. Moltissimi si sono fermati ad abbracciarlo, alcuni hanno pianto con lui.

Gli islamici d’Italia hanno fatto ancora di più, organizzando sabato 21 novembre una manifestazione a Roma in piazza Santi Apostoli. L’evento particolarmente concreto fin dal titolo - Not In My Name - è nato dal un coordinamento sostenuto dalla Coreis italiana (COmunità REligione ISlamica) movimento interculturale fra musulmani italiani, marocchini, pakistani, senegalesi e turchi.

In un pomeriggio piovoso la luce filtrata dalle nubi è stata quella della speranza con persone di credo e provenienza diverse che si sono confrontate, hanno pregato e costruito futuro mentre il Presidente della Repubblica Mattarella e il presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiane e imam di Firenze Izzedin  Elzir attraverso due messaggi esprimevano lo stesso identico concetto: “uniti possiamo battere questo cancro che nulla ha a che vedere con la religione”.

Per quanto incline all’autodistruzione e spesso folle l’umanità appare meglio di come la si vorrebbe strumentalizzare. Per questo il terrorismo non vincerà

Fabio Pizzi

Laureato in Studi Storici e Filologico Letterari all’Università di Trento, scrive fin da piccolo per passione e, da qualche anno, anche per lavoro. Per questo si ritiene parecchio fortunato. Appassionato di storia e politica è attivo nell’associazionismo fin da giovanissimo soprattutto nelle associazioni locali e nelle Acli Trentine.  Ama il cinema, l’arte e la tecnologia, la satira, la musica, il bosco e il mare. Su tutto, sua moglie, la famiglia e i suoi veri amici. Dice e scrive quello che pensa, filtrandolo il meno possibile e prendendo spesso posizione. Questo gli ha portato in dote parecchie polemiche, qualche complimento e il rispetto di se stesso.  

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