La rivoluzione spirituale che manca e che attendiamo

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Globalizzazione: “termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo”. La Treccani, l’enciclopedia del popolo per l’accesso google più intuitivo di tutte, da questa definizione di globalizzazione.

Un’integrazione fatta di economia, società, cultura, finanza, politica e ambiente – l’ultimo alla moda –. La dimensione spirituale non ha spazio in questo insieme di argomenti sempre presenti in ambito editoriale. Dal punto di vista mistico e religioso l’effetto della globalizzazione, pur evidentissimo, non è tenuto nella giusta considerazione, ma è spesso lasciato in mano ad altre fonti, sparpagliate o unificate sotto la copertina di alcuni settimanali sullo “star bene”.

Parliamo di  “contagio spirituale” riferendoci non all’opera di “esportazione” della propria fede  come è stato ai tempi della colonizzazione ma al melting pot di pratiche mistiche in cui l’uomo occidentale prova, consapevole o meno, a dialogare con la propria dimensione. Vogliamo parlare della “ginnastica alternativa” come lo yoga, il pilates, fino ad ogni forma di arte marziale, come judo o kong fu, alla meditazione proposta in ogni salsa: bio, dinamica, attiva, rilassante, con fieno, nella natura, in silenzio, con aromi, ecc. Quest’offerta commerciale di spirito è il risultato di una necessità di star bene nell’immediato, dove l’uomo soffocato da modelli consumistici è debole, e fatica a discernere cosa sia veramente utile e cosa sia prodotto dalla moda del momento. “E più diventa tutto inutile e più credi che sia vero/e il giorno della fine non ti servirà l’inglese”, ironizzava sottilmente Franco Battiato, un grande ricercatore spirituale, nella canzone “Il Re del mondo”.

Il rischio è quello di provare un po’ di tutto perdendo una vita a cercare la propria dimensione, senza arrivare a vivere gli effetti positivi che un impegno verso la cura del proprio lato interiore può donare. Il pericolo sociale invece è una perdita di spirito collettiva: sembra che non esista neppure una spiritualità in grado di aiutare l’uomo a gestire il mondo interiore con quello esterno, facilitando così il proliferare di cinismo e consumismo. Quanti vorrebbero entrare in casa dopo una settimana frenetica e riuscire a riposare? Quanti invece fare una passeggiata senza viverla come un’inutile perdita di tempo? Tanti, ma in pochi ci riescono.

È uno dei grandi problemi di una società spiritualmente ammalata, fatta d’individui che non sanno trovare il giusto equilibrio fra il fare e il non fare. È come se ci fosse un cortocircuito fra l’acceleratore del senso del dovere richiesto e il freno del bisogno di calma sentito. Si potrebbe arrivare a un’armoniosa convergenza degli opposti, ma trovare la chiave non è semplice nè immediato come la cultura consumistica fa credere, o come istituzioni ecclesiastiche di vario tipo hanno in un tempo recente troppe volte insegnato. Uno sportivo puro negli intenti da cosa è mosso? Uno scalatore cosa lo porta in cima alle sue vette? Chi fa volare in alto una ballerina? È l’energia di una persona che con impegno e devozione la porta al massimo elevando le proprie potenzialità.

 Spiritualità – ad esempio – è riconoscere anche questo, ed essere consapevoli che oltre alla forma siamo altro. Sapere che in ognuno di noi esiste un’energia che ha bisogno di essere espressa e che per farlo – per liberarsi! – dev’essere riconosciuta. Qui sta la forza spirituale o il problema dell’assenza di spiritualità. Il corpo non è altro che la sua forma. Per attingervi è necessario ammettere di avere uno spirito, l’esigenza di ascoltarlo e avere il coraggio di smettere di essere presunti sapienti in cerca di risposte (il vero sapiente, il vero filosofo, è “colui che sa di non sapere”), ma iniziare ad essere devoti a un senso superiore, sapendo di non essere soli in questa ricerca, ma di avere dietro e accanto una tradizione che si rinnova di giorno in giorno.

Una certa prospettiva “materialista” (o meglio dire scientifico-naturalista) pretende di cancellare la dimensione spirituale. Esso tenta di superare la dicotomia mente/corpo riducendo, almeno dal punto di vista teorico, l’etica, la ricerca di conoscenza, l’agire umano a meccanismi regolati dalle leggi della fisica, della chimica e della biologia. Sono queste leggi che ci comandano, mentre tutto il resto è illusione. Guarda caso l’approccio mistico di quasi tutte le religioni parla ugualmente di illusione, ma all’inverso: è il mondo materiale ad essere illusorio. La dimensione spirituale chiama invece ad un altro tipo di olismo, capace di armonizzare le diverse componenti umane. Lungi dal voler dare risposte definitive e oggettive, la via spirituale è appunto una via che apre gli orizzonti.

Non è affatto semplice in una società dove il senso di felicità è promesso a buon prezzo dalla pubblicità, dove ad ogni desiderio c’è la soluzione giusta per appagarlo, ma che non dura più dell’attimo in cui viene comprata e consumata, per far spazio subito ad un'altra pulsione. Una grande fetta di responsabilità è dell’informazione, anch’essa piegata alle volontà di chi ha mosso le corde dei burattini che siamo diventati. L’accesso semplificato a culture spirituali differenti e alla possibilità di farne esperienza pratica, ha aperto le frontiere ad altre dimensioni che, senza una conoscenza seria, rischiano di essere lette e proposte solo come l’ultimo rimedio di moda. I miracoli non esistono né qua nè in India. Di cose strane ne accadono qua come in India.

Si può leggere da qualsiasi prospettiva, ognuno è perennemente in cerca di un posto nel mondo soprattutto interiore dove sentirsi un buon essere umano. Possiamo scegliere la religione, possiamo dire di non essere credenti, è possibile stare in bilico fra un credo e l’altro. Basta non cancellare del tutto la dimensione spirituale. Possiamo usare una montagna al posto dell’altare, mare invece che incenso, ma perché questa libertà sia efficace è fondamentale comprendere perché quella vetta e quel mare possono diventare altare e incenso per chi lo sceglie. Trovare il proprio posto nel mondo, questo il destino che ci accomuna.

Le grandi tradizioni religiose posseggono questa dimensione spirituale. Troppo spesso le religioni vengono descritte per sentito dire, secondo la tendenza del momento, secondo stereotipi duri come il marmo: cattolicesimo dogmatico e oscurantista, Islam integralista e fanatico, Induismo politeista e arretrato, religioni africane folklore di primitivi. Il segno distintivo di tanta parte della cultura contemporanea è la presupponenza – che confina nell’ignoranza – di credere di essere arrivati a una civilizzazione che supera l’infanzia del mondo. Vogliamo essere i primi della classe, senza importarcene di chi ci ha preceduto. Ma dietro di noi, dentro di noi, c’è una sapienza millenaria. Le religioni, intese come vie spirituali, ci trasmettono questa sapienza.

L’esperienza empirica ci dice che l’uomo ha due occhi per vedere e che da come osserva, dunque dalle emozioni che il cuore ha da quella vista, costruisce il suo rapporto con il mondo. La spiritualità invece ci dice che abbiamo anche un mondo interiore che condiziona, e di molto, il nostro cuore. Se nel mondo visibile pensiamo di essere dei ballerini, nell’altro chi siamo?

Francesca Bottari

Piergiorgio Cattani

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