La repubblica dei giovani

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Mezzogiorno. Sfoglio le pagine fini di “Ragazzi di vita” di Pasolini. Il traghetto diretto a Igoumenista è appena partito. Scompare la costa marchigiana, il duomo di Ancona, il ritratto del Papa negli uffici portuali.  Una famiglia originaria di Ferizaj trangugia in religioso silenzio piatti di cetrioli, carne lessata, soffice pane al latte. Conto diciassette membri. Nonni, nipoti, forse zii. 

Nel ventre del muro di nebbia su cui la nave galleggia, si ode solo il suono delle onde. Il rumore dei motori. Il raro gracchiare dei gabbiani.  Un uomo robusto e peloso gonfia dei materassini per la notte. Kosovo.  Sulla strada che conduce a Prizren, un’anziana vende ai rari passanti fette di pane tostato. Odore di caffè e nevischio.  Un benzinaio sopravvive a metà di una valle brulla, abitata da lupi e cornacchie.                                     

L’arrivo in città, che conta 120.000 abitanti, è un tripudio di moschee e bandiere albanesi legate con forza ai balconi.  Il 90% della popolazione locale proviene infatti dalla vicina Albania e passeggiando per i vicoli pare quasi di essere più vicini a Tirana che a Pristina.  Burek me mish.  Prizren sorge nell'estremità meridionale della pianura della Metochia, alle pendici dei Monti Sharr. Non troppo distante dalla duplice frontiera: Albania Macedonia del Nord.    

È attraversata dal torrente Bistrica, affluente di sinistra del Drin bianco. Puntualissimo, alle 17.00 del pomeriggio, il muezzin canta dall’alto della torre invitando i fedeli alla preghiera. La melodia è come il vento, entra dalla finestra, riempie la stanza, se ne va mescolandosi alla pioggia.  Nella parte vecchia della città, sul lato est della piazza, un cavallo dorme in piedi, coperto da un sottile velo di plastica targato Coca Cola. Il padrone fuma sotto l’insegna luminosa di una banca. Non è giorno di lauti affari. I cavi elettrici, attorcigliati, si diramano in ogni direzione come fosse la ragnatela di un pigro ed enorme ragno. Vanno a zig zag tre soldati statunitensi vestiti in mimetica.    

Le ultime cime innevate della stagione si scorgono sotto la luna, invischiate dagli odori autunnali, di caldarroste, funghi e muschio fresco. Tra la stazione degli autobus e un hotel a quattro stelle, sfrigolano le graticole di un ristorantino. Il cameriere prende gli ordini con un pezzo sgualcito di carta e una biro. Sotto la veranda, uomini ubriachi intonano canzoni tradizionali al suon di fisarmonica, emessa da una piccola radio tascabile anni ‘80. Cantano e si dimenano, sbuffano e ispirano come l’aria dentro lo strumento. Nei minuti più ebbri un baffuto scaglia senza motivo un vassoio di coccio contro il muro, frantumandolo in mille pezzi. Il cameriere si affaccia contrariato, fa spallucce e lascia tutto così com’è. Il cuore dei Balcani.

 85 km a nord-est appare Pristina. La capitale kosovara non è solo centro politico (e sede del governo) ma anche centro culturale e artistico dell’intero paese.  Una repubblica autoproclamatasi indipendente dalla Serbia nel 2008 che vanta un primato forse poco conosciuto: il paese più giovane di tutta Europa. L’età media è 25 anni.  Tanto di nuovo è stato costruito, forse per lasciarsi alle spalle una guerra che anche qui non ha lasciato scampo. Una pulizia etnica perpetrata dal presidente serbo Slobodan Milošević., il dittatore che voleva eliminare ogni traccia della popolazione albanese che storicamente risiedeva nella regione kosovara.  In città è facile imbattersi nel Newborn Monument, scultura dinamica che consiste nella scritta newborn (neonato), presentata il giorno in cui il Kosovo ha ottenuto l’indipendenza. Il monumento è inoltre stato dipinto con le bandiere degli stati che hanno riconosciuto l’indipendenza kosovara dalla Serbia.   A Pristina c’è anche la cattedrale più grande dei Balcani, la Cattedrale di Santa Madre Teresa.  La struttura è stata consacrata nel 2017, il giorno della memoria liturgica di Madre Santa Teresa di Calcutta, la religiosa albanese più celebre dell’intero paese.

 Oltre alle nuvole, poco fuori dal perimetro “cittadino”, si erge il monastero di Gračanica. patrimonio dell’UNESCO.  Una sottile foschia copre leggermente l’orizzonte scuro.  Il silenzio è riempito dal fievole abbaiare di un cane.  Slavo, un filosofo dalle grandi mani rosse e la montatura degli occhiali storta, snocciola leggende per i turisti di passaggio. In periferia macchine sovietiche senza targa trasportano ceppi marci di verza. 

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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