I giovani turchi tra insoddisfazione e frustrazione

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Sono state oltre 100 le domande sulla politica locale e internazionale, l’attivismo e le libertà sociali, culturalireligiose e civili, fatte in presenza dagli esperti dell’istituto tedesco Konrad-Adenauer-Stiftung (Kas) a 3.243 giovani turchi sparsi in 28 province, tutti fra i 18 e i 25 anni, una fascia d’età che oggi rappresenta circa sette milioni di individui sugli oltre 84 milioni che costituiscono la popolazione complessiva della Turchia. Il campione di giovani turchi utilizzato per il “Rapporto 2021 sui giovani in Turchia”, pubblicato questo mese dagli esperti dell’istituto fondato a Bonn nel 1955, ha tracciato un  quadro che dovrebbe risultare inquietante per la leadership di Ankara e il suo “sultano” Recep Tayyip Erdoğan visto che circa il 73% degli intervistati ha dichiarato di “voler vivere all’estero avendone l’opportunità”, mentre il 48% dice di “non avere alcuna fiducia” nel capo dello Stato da due decenni al potere. Sommati a quelli che “non credono” in lui, il dato sugli scontenti della politica di Erdoğan a vari livelli tocca quota 58,5%. Alla domanda sul leader politico preferito, il 20,1%, il dato più elevato, risponde “nessuno” e la grande maggioranza degli intervistati, l’80,4%, critica apertamente le politiche governative in tema di rifugiati e chiede che siano cambiate, in particolare il 56,8% “vorrebbe il rimpatrio immediato di tutti i profughi siriani”. 

Lo studio mostra in linea generale una “prospettiva pessimistica” che emerge da un quadro di “insoddisfazione e frustrazione”: il 62,8% degli interpellati dicono di “non vedere bene il futuro della Turchia”, mentre il 35,2% dice di essere “completamente sfiduciato” sulle prospettive del Paese. La preoccupazione maggiore? L’economia, l’inflazione, la scarsa possibilità di realizzarsi a livello personale e la poca libertà percepita, spinge il 72,9% del campione ad affermare “di voler vivere in un altro Paese, avendone la possibilità”. Non vi è fiducia nei politici, nei partiti politici e nel sistema giudiziario, lo stesso che in gennaio ha disposto la custodia cautelare in carcere in attesa di processo per la giornalista Sedef Kabas, accusata di aver insultato il presidente Erdoğan utilizzando un celebre proverbio (“Il bue non diventa re entrando nel palazzo, ma il palazzo diventa una stalla”, è stato il paragone per descrivere gli anni al potere del presidente Erdogan). Il 22 gennaio scorso gli agenti hanno posto in stato di fermo la famosa cronista e il giorno successivo è comparsa davanti ai giudici, che hanno disposto l’arresto usando un articolo di legge che ha portato in prigione prima di lei decine di migliaia di persone negli ultimi anni. La magistratura turca ormai reprime con particolare forza ogni voce critica o “diffamatoria” nei confronti di Erdoğan e dal 2014, anno della sua ascesa alla presidenza, almeno 70 giornalisti sono stati processati e condannati al carcere e a pene pecuniarie per “insulto al presidente” in base all’articolo 299 del Codice penale. Il Consiglio europeo ha più volte, invano, chiesto ad Ankara di cancellare o quantomeno emendare la norma, che continua però ad essere applicata con estremo rigore e continuità.

La vicenda che ha coinvolto la Kabas è solo l’ultimo esempio di una lunga serie di arresti, repressioni, condanne al carcere e pene pecuniarie verso le voci critiche in Turchia, che conferma così il 153esimo posto su un totale di 180 nazioni dell’ultimo World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere (Rsf). Per il rapporto annuale 2021 dell’Independent Communication Network (Bia)  lo scorso anno i giudici turchi hanno emesso sentenze di condanna a carico di 35 giornalisti per un totale di 92 anni, sei mesi e 24 giorni di galera. Negli ultimi 12 mesi almeno 41 cronisti turchi sono stati incarcerati, portando il dato complessivo dell’ultimo quinquennio a 270. Ma oltre al carcere vi è anche la minaccia del licenziamento per quanti non si allineano alla propaganda ufficiale. Nel 2021 sono stati 79 i giornalisti che hanno perso il lavoro, per un totale di 807 nel periodo 2017-2021 mentre la scure della censura ha bloccato almeno 975 articoli nell’ultimo anno e 5.975 nell’ultimo quinquennio. Emittenti e organi di stampa “non allineati” hanno ricevuto nel 2021 dal Consiglio supremo turco per radio e tv (Rtuk) 158 sanzioni amministrative e sono stati sospesi 48 programmi, con pene pecuniarie complessive pari a due milioni di euro. Gli attacchi personali e le violenze mirate contro la stampa, infine, fanno storia a se e nel 2021 sono stati 56 i giornalisti vittime di violenze, l'apice è stato toccato con la morte di Hazım Özsu, giornalista radiofonico ucciso davanti alla propria abitazione da una persona che “non apprezzava” i suoi giudizi e commenti. Eclatante è stata anche la vicenda che ha coinvolto la leggendaria cantante e cantautrice turca Sezen Aksu rea di aver definito “ignoranti”, in una canzone del 2017, Adamo ed Eva, figure sacre nell'Islam. Erdoğan che ha promesso di “strappare la lingua” a coloro che insultano le figure religiose ha detto che le sue parole non riguardavano affatto Aksu, ma il testo della canzone ha fatto arrabbiare i conservatori turchi e nei primi giorni del 2022, l'hashtag #SezenAksuKnowYourPlace (“Sezen Aksu, stai al tuo posto”) ha iniziato a fare tendenza su Twitter. Un avvocato di Ankara ha fatto causa ad Aksue e un gruppo nazionalista di estrema destra noto come Movimento di difesa nazionale, con legami con il ministro dell'Interno turco, ha minacciato Aksu e ha tenuto una protesta davanti alla sua casa. A questo punto, anche alcuni parlamentari del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) e del Partito d'azione nazionalista (MHP) hanno iniziato a prendere di mira Aksu per aver insultato i valori della Turchia “sotto le spoglie dell'arte e della musica”.

Settimane di minacce contro Aksu provenienti dai massimi livelli dello stato hanno rivelato che non sono solo gli attivisti e i giornalisti a essere in pericolo in Turchia.  Il caso si è risolto “bene” anche a causa della sua fama e del diffuso sostegno di cui gode in patria la cantante, ma rimane emblematico il numero di attacchi online e azioni legali che in genere travolgono gli artisti che incontrano le ostilità del Governo. L'ultimo rapporto 2021 sullo stato della libertà artistica di Freemuse conferma che nel 2020 la Turchia aveva sette artisti in prigione, condividendo il terzo posto nel mondo di questa particolare classifica con Myanmar, Bielorussia e Cina. Lo stesso anno, 17 artisti in Turchia sono stati perseguiti e di i tutti i 236 casi di violazione del diritto alla libertà di espressione artistica documentati nel mondo nel 2020, la Turchia registra il maggior numero di casi, 32. Aksu, che nelle scorse settimane ha ringraziato tutti coloro che l’hanno sostenuta, ha da poco condiviso il testo di una nuova canzone chiamata “The Hunter”: “Non puoi schiacciare la mia lingua” e “Vediamo chi è il viaggiatore e chi è l’albergatore”, come a suggerire che, mentre i politici vanno e vengono, gli artisti di un paese rimangono. Molti giovani turchi sperano sia veramente così.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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