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Gibuti: finalmente scarcerato e libero il sacerdote trentino don De Pretis
Religione
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Giovedì 26 marzo don Sandro De Pretis è stato rimesso in libertà dal tribunale di Gibuti. Lo annuncia il settimanale della diocesi di Trento 'Vita Trentina' che fin dall'inizio ha seguito la vicenda del sacerdote trentino di 53 anni, 53 anni, una vocazione adulta sbocciata dopo un periodo di volontariato internazionale che dal 1993 era missionario incardinato a Gibuti, la piccola repubblica del Corno d'Africa. Il Tribunale ha infatti decretato una pena corrispondente al periodo di carcere preventivo già scontato dal religioso che ora si ritrova quindi in libertà.
"Ringrazio tutti quanti mi sono stati vicini anche con la preghiera" - ha detto ad 'Avvenire' il missionario che non ha voluto comunque commentare la sentenza ma ha inviato una mail agli amici più stretti dove esprime la felicità per la fine di questa storia, conclusa con una condanna sulla base di una accusa che due settimane fa era stata cambiata per la sesta volta. E confusa è anche la sentenza che rimette in libertà il sacerdote: "Il giudice – spiega il direttore di Vita Trentina don Maffeis – ha letto una sentenza piuttosto confusa (ma altrettanto ambigue sono sempre apparse fin dall’inizio le ipotesi di reato) che prevede una condanna per 'possesso di materiale pornografico', anche se nella giurisdizione locale questa fattispecie non è perseguita. Ma anche la pena inflitta a don Sandro – 3 mesi e 4 giorni con la condizionale, più altri 5 mesi – appare piuttosto una sorte di compensazione del periodo che il sacerdote ha già trascorso isolato dal 28 ottobre 2007 nel carcere di Gadobe: 3 mesi e 24 giorni".
Il lungo calvario giudiziario di don Sandro è iniziato oltre un anno e mezzo fa, quando il sacerdote trentino è stato rinchiuso a Gadobe, il carcere alla periferia della capitale dove spesso si era recato a trovare i detenuti con accuse molto generiche che variano dalla "corruzione di minori" alla pedofilia. "Si tratta di accuse palesemente infondate" - dichiara più volte il suo vescovo locale, mons. Giorgio Bertin che assieme all'Arcivescovo di Trento, mons. Bressan ha cercato di attivare la diplomazia vaticana e la Farnesina. Tra le accuse anche quella di "foto pedofile", ma di fatto si trattava delle stesse che don Sandro aveva consegnato a 'Vita Trentina' per documentare la sua attività di missionario e di altre che ritraevano bambini nudi con bubboni sul braccio, che don Sandro aveva archiviato in computer per sottoporle ai medici in vista di una diagnosi.
Come documentava un reportage realizzato dal direttore di 'Vita Trentina', don Ivan Maffeis il "caso" va invece collocato all’interno dei tesi rapporti fra Gibuti e la Francia che risalgono agli anni Novanta e toccano gli interessi francesi nel Paese africano. Don Sandro, infatti, era l’unico occidentale presente nel Paese del Corno d’Africa nel 1995, quando venne ucciso il giudice francese Bernand Borrell: insomma, un testimone scomodo.
"La Francia - spiegava don Maffeis - ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Djama Soulaiman Ali e del capo della polizia segreta di Gibuti, Hassan Said Khaireh. L'accusa è quella di corruzione di testimone. Ci si riferisce al caso di un giudice francese, Bernard Borrel, trovato morto a Gibuti nel 1995: per alcuni si sarebbe suicidato, preso dai sensi di colpa per essere caduto nella pedofilia. In realtà è stato ucciso perché aveva trovato i mandanti dell'attentato al "Cafè de Paris", avvenuto nel 1990 a Gibuti, come anche dell'esecuzione di p. Marcellino (1987), un sacerdote che chiedeva giustizia circa due persone uccise in carcere. La scia dei delitti porta a Ismail Omar Guelleh, attuale presidente della Repubblica".
Quello di don Sandro era quindi diventato un caso di giustizia internazionale con la diplomazia italiana più volte impegnata a chiedere la liberazione del sacerdote: tanto che il governo Prodi ha sospeso il previsto finanziamento all’ospedale di Gibuti. Un processo interminabile che subito era stato definito "soltanto politico" dal vescovo di Gibuti, Giorgio Bertin, convintosi ben presto, dopo una scrupolosa indagine, dell’innocenza del sacerdote trentino incardinato nella diocesi dal 1993 per essere "africano fra gli africani".
Il direttore di 'Vita Trentina' comunica che "alla mobilitazione della Chiesa trentina e italiana con firme di solidarietà e giornate di preghiera, don Sandro risponde con riconoscenza, anche se volutamente non ha commentato la sentenza", attendendo anche qualche giorno prima di darne notizia con un messaggio agli amici: "Finalmente la mia storia, dopo un anno e mezzo, è terminata, pur se con una condanna – scontata in un senso e già scontata nell’altro senso – sulla base di un’accusa che era stata ancora cambiata due settimane fa, per la quinta o sesta volta. Adesso aspetto che le ultime carte siano fatte, e dopo dovrei recuperare il passaporto e partire. Continuate a pregare per tutti noi qui a Gibuti". La famiglia e la comunità trentina – conclude don Maffeis – lo attendono "per una Pasqua non più in catene". [GB]