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Da Mostar a Kabul: compagni di banco, per sempre
Religione
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Il gruppo dei sei, dell'UWC Mostar - Foto: Balcanicaucaso.org
Si sono conosciuti al Collegio del Mondo Unito (UWC) a Mostar, in Bosnia Erzegovina, dove hanno frequentato gli ultimi due anni delle superiori. Sei ragazzi e ragazze provenienti da Germania, Slovenia, Singapore, Italia, Francia e Spagna qui hanno fatto amicizia con Aaila (il nome è fittizio, per garantirne la sicurezza), ragazza afghana sciita della minoranza hazāra.
United World Colleges (UWC) è un movimento globale che fa dell'istruzione una forza per unire persone, nazioni e culture per la costruzione della pace e di un futuro sostenibile. Ha 18 sedi nel mondo - tra le quali quella di Mostar aperta nel 2006, unico collegio UWC costruito in un paese post-bellico – dove ragazzi e ragazze di ogni parte del mondo studiano insieme e costruiscono fra loro forti legami. “I due anni a Mostar, in Bosnia Erzegovina, sono una delle esperienze più particolari che io abbia fatto in vita mia. Perché vivere in quella città, che dovrebbe essere l’emblema della ricostruzione di una società dopo un conflitto, mi ha fatto capire quanto in realtà sia ancora divisa e quanto siano ancora vive le ferite della guerra di 25 anni fa, anche tra giovani della mia età. Perché stigma, violenze subite e preconcetti vengono tramandati di generazione in generazione… ho conosciuto ragazzi di Mostar che non hanno mai attraversato il ponte per andare dall’altra parte”. Lea, da noi raggiunta al telefono in Italia, dove sta frequentando il primo anno di università, fa parte del gruppo di sei amici che hanno risposto all’appello di Aaila dall’Afghanistan.
Nell’aprile di quest’anno, a chiusura del loro ultimo anno di scuola superiore presso il UWC di Mostar, i sette amici sono tornati ciascuno a casa propria. Il 14 agosto, con il drammatico peggioramento della situazione in Afghanistan, è arrivata da Aaila la richiesta di aiuto per sé e la sua famiglia: se fosse rimasta in Afghanistan la sua vita sarebbe stata a rischio, vista la sua attività di attivista per i diritti delle donne e la sua collaborazione da volontaria con l’Ambasciata americana.
David, Maj, Lola, Pablo, Carlos e Lea si sono subito attivati: “Sono state settimane molto intense. Abbiamo fatto a turno per chi stava sveglio la notte e rimanere in continuo contatto con Aaila. Avevamo un gruppo whatsapp solo fra noi 6 – nel quale discutevamo che cosa fare - e uno con lei dove le scrivevamo solo le decisioni che prendevamo e facevamo di tutto per tenerle alto il morale”. Tra le difficoltà, il fatto di essere molto giovani e senza esperienza in questioni così complesse, ma anche semplicemente restare in continuo contatto con diverso fuso orario: cinque in Europa, Aaila in Afghanistan e un’altra ragazza del gruppo in Nuova Zelanda. “Ma nonostante le tante difficoltà”, prosegue a raccontare Lea, “ciò che mi ha riempito il cuore e mi ha dato la forza è che quando qualcuno di noi cadeva nello sconforto e cominciava a pensare che non ce l’avremmo fatta a salvare Aaila, c’è sempre stato qualcun altro pronto a tirarlo su, a riaccendere la speranza con un’idea nuova da provare”.
Una corsa contro il tempo, per cercare di portare fuori dall’Afghanistan Aaila sua madre e i due fratelli minori. “Mi sono trovata, per dire, a mandare una mail a tutti i capi di Stato… abbiamo tentato quello che pareva impossibile, laddove sembrava che non si potesse fare nulla. Fino all’ultimo, lavorando giorno e notte”. Innanzitutto una raccolta fondi, con cui sono riusciti a comprare quattro biglietti aerei da Kabul per il Pakistan. La famiglia è così partita da casa, a 30 km dalla capitale, per raggiungere l’aeroporto, ma nel frattempo tutti i voli commerciali erano stati bloccati e la famiglia di Aaila è stata accolta a casa di uno zio che abita vicino all'aeroporto.
I ragazzi allora hanno cominciato a tentare ogni altra via per farla evacuare, partendo da tutti i possibili contatti attraverso la rete globale dell’UWC e dall’Internazional Office UWC...