Bangladesh: siamo tutti Avijit Roy?

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In Bangladesh quest’anno è tornata la tensione con scontri che hanno causato decine di morti tra le opposte fazioni politiche e religiose, in un Paese dove una forzata ed estremista interpretazione dell’islam si fa sempre più soffocante, tanto da spingere i gruppi islamici fondamentalisti a chiedere apertamente l’esecuzione pubblica dei blogger atei e nuove leggi “del taglione” per combattere chi critica l’islam. In un clima simile era stato accoltellato un anno fa il noto blogger e attivista per i diritti Ahmed Rajib e la scorsa settimana è toccato ad Avijit Roy un cittadino americano di 42 anni originario del Bangladesh, fondatore del blog Mukto-Mona (Libero pensiero) che riunisce razionalisti, scettici, atei, agnostici, laici, umanisti soprattutto di origine bengalese e del Sud Est asiatico. Assassinato a colpi di machete nella serata del 26 febbraio scorso a Dhaka, mentre tornava a casa con sua moglie (ferita gravemente) da una fiera di libri, Roy era andato a presentare il suo ultimo libro di divulgazione scientifica. Questa l'ultima delle sue "colpe".

Avijit, che si definiva ateo, era un intellettuale noto per il contrasto all’integralismo religioso, l’impegno a favore dei diritti civili e la promozione del pensiero razionale, una ragione sufficiente in Bangladesh per rischiare la vita. Roy aveva parlato dei pericoli che correva in un recente articolo apparso sul Free Inquiry, la rivista pubblicata dall’americano Council for Secular Humanismdopo che diversi estremisti islamici avevano minacciato di ucciderlo in seguito alla pubblicazione del suo libro Biswasher Virus (Il virus della fede). Nell’articolo, Roy ha spiegato che “il virus della religione” è ciò che per l’autore ha ispirato gli attentati dell’11 dicembre 2011 alle Torri Gemelle di New York e l’attacco alla redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, avvenuto lo scorso gennaio. Per queste sue tesi erano anni che Roy riceveva minacce di morte da integralisti, proprio perché come ha ricordato il Movimento Umanista “non temeva di esprimere le sue idee ed era uno scrittore che produceva cultura e cercava di dare un contributo laico alla crescita intellettuale del suo popolo”. 

Insignito nel 2014 dalla British Humanist Associationinsieme ai blogger di Mukto-Mona, del Free Expression Award, per Roy “I terrorismi basati sulla fede non sono altro che virus. Se si permette loro di diffondersi, devasteranno la società in proporzioni endemiche”. Una denuncia che il blogger aveva rivolto soprattutto all’atteggiamento accomodante, quando non omertoso, del Governo davanti alle manifestazioni degli estremisti religiosi per ingraziarsi “una manciata di mullah” sempre utili in chiave elettorale. Il suo appello laico e coraggioso però non è rimasto inascoltato. Il giorno seguente l’assassinio, centinaia di persone, soprattutto insegnanti, editori e scrittori, ma anche gente comune, si sono riunite a Dhaka per ricordare Avijit e il suo coraggio. “L’attacco subito da Roy e sua moglie - ha dichiarato Imran H. Sarker, leader dell’associazione dei blogger bangladeshi - è vergognoso. Protestiamo contro questa aggressione ed esprimiamo profonda preoccupazione per la sicurezza degli autori di questo Paese” .

Qualcosa cambierà in Bangladesh? Difficile fare previsioni. Come ha denuncia con in una nota l’International Humanist and Ethical Union (Iheu), in passato non sono mancati movimenti a favore della laicità, ma il Governo della premier Sheikh Hasina, a capo del partito Lega Awami, invece di garantire la libertà di espressione, ha preferito tranquillizzare i fondamentalisti imponendo la chiusura di siti giudicati anti-religiosi e arrestando “chi offende la religione”.  Per Sonia Eggerickx, presidentessa Iheu, “ancora una volta si è dimostrato come le leggi sulla blasfemia siano sempre una rovina per la libertà di religione e di credenza e di certo per l’espressione delle opinioni politiche”, perché “vengono usate e strumentalizzate dai fondamentalisti contro gli oppositori”. 

Intanto le forze di sicurezza del Banghladesh hanno annunciato di aver almeno arrestato un uomo per l’omicidio di Roy: si chiama Farabi Shafiur Rahman ed è stato trovato nel quartiere Jatrabarhi della capitale, mentre si stava preparando per abbandonare la città. L'uomo era già noto alla giustizia tanto da essere già stato arrestato nel 2013, per aver “incitato alla violenza” sui social network dopo la morte di Ahmed Rajib, il primo blogger ad essere ucciso per le sue idee “contrarie all’islam”. Secondo il generale Ziaul Ahsan, direttore aggiunto della Rab (Rapid Action Battalion), l'arrestato avrebbe anche minacciato una libreria online, affinché ritirasse dal web i libri di Roy.

Guardando a questo come ad altri crimini commessi in nome di un dio, ma che in realtà non hanno nulla a che fare con la religione e molto da contendere alla criminalità, mi tornano in mente le parole che Paolo Rumiz scriveva nel suo La cotogna di Istanbul parlando di un’altra guerra e di un altro odio, nascosto dietro alla stessa evidenza: “Guai se credete che qui c’entrino serbi e mussulmani. Chi ci bombarda sono i primitivi, quelli che ignorano il gusto del vivere e non sanno il sapore celestiale del caffè con lo zucchero in cristalli”. Oggi come recita la frase che campeggiava su Mukto-Mona, “Piangiamo, ma non siamo sconfitti”, perché il delitto di Dhaka richiede la reazione urgente dell’Europa e delle istituzioni internazionali.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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