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"Veleni” al Poligono di Quirra: una matassa che non si sbroglia
Popoli minacciati
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Solo pochi giorni fa la base è stata visitata dall’astronauta Luca Parmitano, che ha raccontato a studenti e istituzioni le sue esperienze ed emozioni durante la missione “Volare” del 2013 a bordo della Soyuz. Un profilo quasi inedito del Poligono interforze del Salto di Quirra, per una volta ricordato come culla dell’aerospazio italiano e, perché no, futuro luogo di sperimentazione e di ricerca scientifica “ad uso civile”. Tanto che da più parti si parla di “riconversione” dell’area in Centro di ricerca aerospaziale, eliminando così la parola “poligono” da quei 120 chilometri quadrati di suolo sardo divenuti la più importante base europea per la sperimentazione di armi, missili, razzi e radiobersagli, oltre che luogo di addestramento di forze armate e compagnie private italiane e straniere.
Più che lo spazio, infatti, è la guerra a venire in mente quando si parla del Salto di Quirra, insieme all’inquinamento ambientale e alle morti di soldati e civili per tumori e linfomi su cui da decenni si sta cercando di fare chiarezza. Ma non sembra esserci nessuna luce in fondo al tunnel, nonostante un processo che, dopo aver “scoperchiato il vaso di Pandora” a partire dal 2012, ha poi subito una battuta d’arresto nel dicembre del 2014. All’improvviso, infatti, la Regione Sardegna aveva deciso costituirsi parte civile nel processo, sollevando una questione di legittimità costituzionale. Tutto fermo per oltre un anno, fino a poche settimane fa, con la sentenza emessa Corte: nessun risarcimento per danno ambientale alla Sardegna in quanto la titolarità di questo tipo di richiesta spetta solo al ministero dell'Ambiente e quindi allo Stato. Ora il processo potrà riprendere (per fortuna i termini di prescrizione erano stati sospesi), ma cos’è successo in tutto questo tempo?
E’ successo che su undici capi di imputazione contestati in origine, solo uno è rimasto in piedi: “omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri”. Dei 20 imputati finiti alla sbarra all’inizio del processo – in cui figuravano generali dell’Aeronautica, ricercatori e tecnici universitari, chimici e scienziati responsabili delle analisi e controlli – dodici sono stati prosciolti “perché il fatto non sussiste”. Gli otto rimasti sono tutti militari, rinviati a giudizio in pratica per non aver interdetto l’area alla popolazione locale e non aver impedito, anche attraverso cartelli e segnalazioni adeguate, la presenza dei pastori e del bestiame nelle aree dove si svolgevano i test.
Tutto questo mentre le battaglie a suon di perizie e studi scientifici continuano a susseguirsi senza di fatto arrivare al punto: a Quirra c’è inquinamento? E’ presente l’uranio impoverito? E’ il torio - elemento altamente radioattivo derivante dall’esplosione dei missili anticarro Milan – il vero responsabile delle malattie e malformazioni? La cosiddetta “sindrome di Quirra” esiste davvero? I sardi, e non solo, se lo chiedono ormai da decenni.
E dire che di ricerche e perizie ne sono state fatte moltissime, tutte con esiti diversi e talora opposti. Tra le più recenti nell’ambito del processo, quella affidata nel marzo 2013 dal giudice Nicola Clivio al professor Mario Mariani, docente di Ingegneria nucleare al Politecnico di Milano. L’esito, arrivato nel giugno 2014, farà scalpore: “Sulla base dei campioni di suolo ed acque prelevati, non siamo in presenza di un disastro ambientale” si legge. Tutto a posto dunque? Non proprio. Pur dichiarando che l’area non è paragonabile a siti altamente inquinati come Porto Torres, Gela e Porto Marghera, Mariani qualche criticità la segnala: “L’attività militare condotta nel Poligono ha favorito la dispersione di particolato con presenza di specie contenenti uranio, torio e contaminanti tossici di varia natura” scrive l’esperto a pagina 40. E ancora: “Il particolato potrebbe essere stato trasportato fino alle aree esterne circostanti il Poligono. Questi fenomeni, nel loro insieme, potrebbero aver generato episodi di contaminazione acuta qualora una frazione importante di particolato fosse stata inalata o ingerita accidentalmente”. Nulla di fatto, dunque, sul fronte di un’ipotetica verità definitiva, oltre al fatto che la perizia è stata duramente contestata dalla procura di Lanusei per la mancanza di analisi dei prelievi sugli animali e per numerose altre precisazioni di metodo.
Una nuova ricerca viene presentata a fine luglio 2015 all’interno del Documento di valutazione del rischio, dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare Pasquale Preziosa: anche qui la conclusione è che nel poligono di Quirra non c’è inquinamento, tanto che neppure le bonifiche sarebbero necessarie. Eventuali anomalie nell'habitat vengono fatte risalire al "fondo naturale", ossia alla composizione della terra e delle rocce, piuttosto che alle attività militari (tesi più volte adottata, per la prossimità del poligono alla miniera di Baccu Locci). Fino ad arrivare al 21 aprile di quest’anno, quando, durante la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito, si parla anche di Quirra nell’ambito dell’indagine epidemiologica dedicata all’impatto sanitario del poligono effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità. Di nuovo tutto nella norma, ma attenzione: la ricerca risulta ancora una volta incompleta. “Con alcune strutture sarde l’interlocuzione è stata complessa e difficoltosa – ha detto Loredana Musmeci, dirigente del Dipartimento Ambiente dell’ISS e coordinatrice dell’indagine – Ci è mancata l’informazione fondamentale per poter arrivare a stimare le incidenze dei tumori, ovvero i dati sulle anatomie patologiche”. Ancora, a proposito dell’analisi del rischio: sebbene abbia dato “risultati negativi, non si è distinto tra cromo totale e cromo esavalente. Se, dunque, una parte del cromo rinvenuto nei campioni fosse di tipo ‘esavalente’, i rischi potrebbero essere ben maggiori di quelli emersi”.
Intanto la popolazione continua a dividersi, tra chi resta preoccupato, chi chiede giustizia per le vittime, e chi invece parla di accanimento mediatico che nuoce alla popolazione, all’economia e all’immagine di una bellissima zona della Sardegna che addirittura le attività e le interdizioni militari avrebbero contribuito a preservare. Non solo: il poligono avrebbe perfino ottenuto il certificato europeo Iso 14001 per il sistema di gestione ambientale (informazione, questa, che ha scatenato l’ironia di molti). “Dunque, non è successo niente – scriveva il giornalista de La Nuova Sardegna Piero Mannironi all’indomani della perizia del dottor Mariani – Le decine di morti per leucemia e linfoma a Quirra, i tredici bambini deformi nati a Escalaplano nel 1988 e nel 1989, le tracce di metalli pesanti trovate dalla dottoressa Antonietta Gatti del Policlinico di Modena negli organi interni dei malati di tumore e la presenza di uranio impoverito nelle ossa di un agnello deforme rilevata dal professor Massimo Zucchetti del dipartimento di Energetica del Politecnico di Torino non significano nulla. E che dire, poi, dei milioni di bossoli che abbiamo visto, calpestato e fotografato all'interno del poligono?”. In attesa dell’ennesima nuova perizia (una sarebbe già stata annunciata dall’Istituto superiore di sanità), il mistero sui “veleni di Quirra” continua.
Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere.