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Reddito di cittadinanza, la politica sia seria: va riformato, non cancellato
Popoli minacciati
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Immagine: Pixabay.com
L'intervento del presidente delle Acli Emiliano Manfredonia
Il dibattito sul Reddito di Cittadinanza che si è scatenato in queste ore, non merita di essere oggetto delle becere strumentalizzazioni politiche che possiamo leggere sui giornali e sentire in tv. Trovo alquanto preoccupante che si faccia della facile ironia sulla pelle di più di 1,2 milioni di famiglie (attuali percettori) per il solo fine di denigrare lo strumento in questione, fra l'altro con espressioni al limite della decenza che richiamano situazioni patologiche croniche (Gioirgia Melonilo ha definito "metadone di Stato", ndr). Credo che la nostra politica debba approfondire maggiormente i risultati oggettivi di questo strumento e confrontarsi seriamente sulle modalità di intervento per migliorarlo, senza lasciarsi prendere dalle tifoserie da stadio, di cui proprio non abbiamo bisogno in questo momento.
Abbiamo bisogno invece che tutte le forze politiche si assumano la responsabilità di aprire un dibattito serio su questa norma che non va cancellata del tutto ma che non può neanche rimanere così com’è. Il Reddito di cittadinanza, di per sé, rappresenta uno strumento utile ma ha dimostrato evidenti criticità nella sua reale applicazione a partire dal tentativo di collegare lotta alla povertà e lavoro senza prevedere un vero accompagnamento e una presa in carico dei soggetti che hanno richiesto il sussidio, ponendo sulle “spalle” dei Centri per l’impiego - assolutamente non idonei al servizio - gran parte del processo.
Inoltre il Reddito di cittadinanza, che pure ha ampliato di molto la platea dei beneficiari rispetto al Reddito di inclusione, non è mai riuscito a comprendere davvero tutti i poveri: in particolare sono state svantaggiate di fatto le famiglie numerose, che sono contemplate nella norma ma ricevono, in proporzione, molto meno ad esempio nei confronti di una famiglia con un solo figlio, e gli immigrati, anche quelli residenti da anni nel nostro Paese e integrati completamente, con l’esito paradossale di aver allargato la forbice delle diseguaglianze, differenziando fra poveri e ancor più poveri. Non è un caso che il Governo stesso abbia dovuto predisporre un ulteriore strumento di sostegno come il Reddito di emergenza, che andasse ad allargare la copertura a chi era rimasto escluso dal Rdc. Anche in questo caso va bene l’ampliamento della platea ma va anche detto che non possiamo solo pensare a dei benefici economici, con l’illusione che una dazione in denaro possa risolvere il problema della povertà, come qualcuno aveva detto nel momento in cui è stato approvato il Reddito di cittadinanza, men che meno quello del lavoro. La povertà, al contrario, è spesso un fenomeno multidimensionale e quindi anche l’intervento a favore di un soggetto fragile non può che essere multidimensionale, con una presa in carico a 360° gradi che miri alla piena inclusione sociale del richiedente.
La povertà è spesso un fenomeno multidimensionale e quindi anche l’intervento a favore di un soggetto fragile non può che essere multidimensionale, con una presa in carico a 360° gradi che miri alla piena inclusione sociale del richiedente.
L’altro grande nodo su cui bisognerà intervenire riguarda il collegamento con le politiche attive del lavoro, per tramite del c.d. “Patto per il lavoro”. Il RdC infatti è stato pensato come uno strumento bi-cefalo per sostenere il reddito dei più poveri da un lato e facilitarne l’accesso al mondo del lavoro dall’altro. I dati ci dimostrano che questo duplice obiettivo non è stato raggiunto. A fronte di 1,6 milioni di soggetti convocati dai Centri per l’Impiego, poco più di 1,05 milioni sono tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e alla data del 10 febbraio 2021 sono state solo 152.673 le persone che hanno instaurato un rapporto di lavoro successivo alla data di presentazione della domanda, parliamo quindi del 14,5% circa del totale...