Palestina: nemici interni e nemici esterni

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La centrale elettrica che rifornisce i più di due milioni di abitanti della Striscia di Gaza è di nuovo attiva, seppure ancora a ranghi ridotti e solo per poche ore al giorno. Questo il risultato della "strana alleanza" venutasi a formare tra Mohammad Dahlan, ex membro di Fatah - il partito che fa capo a Abu Mazen, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese e guida politica della Cisgiordania - e Yahya Sinwar, leader di Hamas - formazione islamica che dal 2006 governa la Striscia di Gaza. I due hanno concluso un accordo con l'Egitto, il quale ha provveduto ad alimentare la centrale elettrica di Gaza - inattiva da aprile - con un milione di litri di gasolio. In cambio, Hamas si è impegnata a usare il pugno duro contro i jihadisti di Daesh alla frontiera tra Gaza e nord del Sinai.

LA VICENDA DELLA CENTRALE ELETTRICA

La sola centrale elettrica presente nella Striscia di Gaza era ormai completamente inattiva da metà aprile, con gravissimi disagi per una popolazione che, sebbene avvezza a frequenti e quotidiani blackout, era pronta a passare l'inizio di un'estate già torrida senza energia elettrica per 24 ore al giorno. Quella della centrale elettrica è una questione di rapporti politici, e di pressioni tirate al limite per mettere alle corde l'avversario: la sua origine, infatti, sta nella dinamica dei pessimi rapporti tra il governo della Striscia di Gaza, detenuto da Hamas - formazione islamica che detiene il potere in quell'area dal 2006, quando si impose alle elezioni - e quello della Cisgiordania, dove governa Fatah, il partito di Abu Mazen, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese.

Hamas ha smesso di acquistare il gasolio dall'Autorità Palestinese quando quest'ultima ha annullato l'esenzione fiscale di cui Hamas godeva, raddoppiando il prezzo. La dichiarazione di Abu Mazen, secondo cui avrebbe mosso "passi senza precedenti" in vista del tentativo di porre fine alla divisione in seno al popolo palestinese, era da inquadrare nell'ottica di un processo di delegittimazione di Hamas agli occhi della popolazione della Striscia: un processo che, passando dall'auspicio di erodere il consenso popolare verso la formazione islamica sfruttando il malcontento dovuto alle difficili condizioni socio-economiche della popolazione, era - ed è - mirato a minare alla base Hamas e il suo controllo del territorio.

Di qui discese la dichiarazione di Abu Mazen per cui l'Autorità Palestinese non avrebbe più pagato per intero la bolletta elettrica di Gaza, riducendo la copertura economica delle forniture israeliane del 30%; mossa immediatamente seguita e alimentata da Israele, che ha a sua volta ridotto la fornitura della sua quota di energia elettrica verso la Striscia passando da 120 a 100 Megawatt. Una stretta, dunque, mirata a mettere all'angolo Hamas e a far sollevare la popolazione della Striscia contro la formazione islamica.

LA FIGURA DI DAHLAN E IL PARZIALE RIPRISTINO DELLA CENTRALE

L'accordo tra Mohammed Dahlan e Yahya Sinwar spiega molto bene quanto, molto più che i gravi bisogni delle popolazioni civili, siano le convenienze politiche a far nascere alleanze ed intese tra nemici - o presunti tali. Dahlan è un ex membro di Fatah, espulso dal partito con l'accusa di corruzione nel 2011 e in esilio negli Emirati Arabi da quella data. Prima di essere estromesso dal partito, era ritenuto uno tra i più probabili successori di Abu Mazen, anche e soprattutto per il gradimento occidentale e dei Paesi del Golfo: lui stesso, pur negando una sua eventuale aspirazione a prendere il posto di Abu Mazen, non ha mai lesinato critiche al capo dell'Autorità Palestinese.

Un uomo abile che nonostante l'esilio è stato in grado di accreditarsi all'esterno come un costruttore di dialogo, mentre riusciva ad essere considerato da Israele come l'opzione più preferibile per la successione di Abu Mazen; un uomo che, non a caso, ha sempre tenuto a rendere stabili e continuativi i rapporti con il dittatore egiziano al-Sisi da quando in Egitto Mohammed Morsi è stato destituito nel 2013 da quel colpo di Stato che ha riportato i militari al potere.

Sfruttando i suoi rapporti con al-Sisi, Dahlan ha dunque preso parte al summit che ha visto una delegazione ristretta di Hamas - con Sinwar a condurre la discussione - recarsi proprio in Egitto alla ricerca di un'intesa per intervenire sulla crisi energetica di Gaza: ed è in quella occasione che si è raggiunto l'accordo che ha riattivato la centrale elettrica, attraverso l'impegno egiziano a far partire autobotti di gasolio verso Gaza passando per il valico di Rafah. Se l'accordo prenderà forma definitiva, in cambio Hamas si impegna ad arginare l'afflusso di combattenti jihadisti di Daesh che sfruttano la frontiera che separa la Striscia dal Sinai settentrionale.

La riattivazione della centrale è però solo parziale, almeno al momento. Sono tornati operativi, infatti, solo due generatori su quattro: se si considera che le temperature sono già molto elevate, il fabbisogno giornaliero di Gaza è di circa 400 Megawatt; è chiaro che i 50 Megawatt al giorno - garantiti dai rifornimenti egiziani -, sommati alla ridotta fornitura israeliana, non sono sufficienti per soddisfare i bisogni di una popolazione in grave difficoltà. Nonostante la parziale riattivazione della centrale, infatti, gli abitanti potranno contare su non più di 4 ore al giorno di elettricità, seguite da altre 14 al buio.

IL POPOLO PALESTINESE STRETTO TRA DUE MORSE

Il possibile riposizionamento politico che l'accordo con l'Egitto potrebbe comportare vede coinvolge la natura dei rapporti di Hamas con l'Egitto. La fazione islamica, branca palestinese dei Fratelli Musulmani, è infatti da anni nel mirino del regime politico-militare egiziano a guida al-Sisi, che non ha mai nascosto di considerare Hamas un coacervo di fiancheggiatori dell'islamismo radicale, dunque a tutti gli effetti un'organizzazione terroristica da combattere. In questo senso la mossa di Dahlan, che proprio con uno dei leader apicali di Hamas è andato a trattare con l'Egitto una possibile soluzione alla crisi energetica di Gaza, punta a vanificare il tentativo di Abu Mazen di costruire attorno ad Hamas un campo minato in grado di sottrargli consensi sia all'interno - speculando sul malcontento sociale, proprio laddove Hamas governa da 10 anni - che all'esterno - puntando sull'etichetta di fiancheggiatori dei terroristi del Califfo.

La vicenda della centrale spiega bene come le interrelazioni e i riallineamenti politici vanno ad incidere solo marginalmente sulla vita del popolo palestinese, da anni stretto tra due morse che, come ha spiegato Nathan Thrall in un lungo pezzo sul Guardian, fanno della gestione dello status quo il loro perno di stabilità. La morsa israeliana può allentare o stringere la sua stretta sulla Palestina, in primo luogo, attraverso il controllo dall'interno della Cisgiordania, un controllo militare rigido che si fonde con una politica degli insediamenti sempre più prepotente: se nell'anno 2016 se ne è registrato un aumento del 34%, a febbraio 2017 la pratica degli insediamenti illegali è stata istituzionalizzata da Benjamin Netanhyahu, che ha legalizzato ufficialmente e in maniera retroattiva tutte quelle colonie sorte nei Territori Occupati con il consenso di Israele, e anche quelle di coloro che non sapevano di trovarsi su territorio di privati cittadini palestinesi. Se sulla Cisgiordania Israele possiede dunque un controllo interno, sulla Striscia di Gaza ne esercita uno esterno, che sebbene non possa poggiare sulla pervasività degli insediamenti (smantellati dal 2005), può sempre contare sul controllo di merci e persone in entrata e in uscita.

La seconda morsa, solo in parte contrapposta alla prima, è quella rappresentata dalla drammatica divisione palestinese: divisione che ha trovato nel 2007 il suo apice più recente, quando è scoppiata la vera e propria guerra tra i due partiti Fatah e Hamas, e quest'ultimo, un anno dopo aver vinto le elezioni, ha estromesso Fatah da Gaza. Una divisione che oltre ad essere nociva dal punto di vista della rappresentatività - Cisgiordania e Striscia di Gaza governate da due entità tra loro ostili - mette in luce tutta la sua inutilità dal punto di vista delle istanze sociali della società civile palestinese: come ha evidenziato bene Cecilia Dalla Negra nel saggio dedicato alla Palestina contenuto in "Rivoluzioni Violate" (Edizioni dell'Asino, a cura di Osservatorio Iraq e Un Ponte Per...), infatti, oltre a dover fare i conti con l'arroganza dell'occupazione israeliana (e con la tremenda repressione delle sue forze di sicurezza in occasione delle proteste di piazza), i palestinesi sono costretti a lottare anche contro due schemi politici che negli anni hanno mostrato evidenti lacune nella gestione della cosa pubblica. Limiti economici per la Cisgiordania, che soprattutto sotto la guida del gabinetto d'emergenza di Salam Fayyad (2007-2013) ha imboccato la strada di politiche economiche di stampo neo-liberista tanto gradite in Occidente quanto poco o per nulla incisive nel contrasto a disoccupazione e inflazione; limiti anche e soprattutto sociali per la Striscia di Gaza, che, nell'ambito dell'esperienza governativa ormai decennale di Hamas, ha registrato una tendenza all'islamizzazione che ha comportato pesanti restrizioni alla libertà dei suoi abitanti (classi separate, divieti legati all'abbigliamento).

Oltre all'affrancamento da Israele, dunque, l'altra battaglia della società civile palestinese - soprattutto nella sua componente più giovane - è quella diretta al ritrovamento di una strategia unitaria di lotta in favore della causa palestinese; un elemento centrale, quello della fine delle divisioni, che non a caso è stato il cuore dei tanti coraggiosi progetti politici costruiti dal basso - tra cui il Movimento 15 marzo che fu l'anima delle rivolte scoppiate nel 2011 - che, tra gli alti e bassi di un contesto complicato, hanno saputo spesso trasformarsi in elaborazioni politiche vere e proprie, dove l'impeto di rabbia contro le due morse (l'occupazione israeliana e la frammentazione politica palestinese) non si esauriva nel malcontento ma sapeva tradursi in concrete proposte politiche.

Michele Focaroli

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