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L’isola che non c’è
Popoli minacciati
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Il Trento Film Festival, ode alla montagna e ai suoi intrecci di vite, pericoli, paesaggi che riempiono il cuore e interpretazioni ha recentemente chiuso la sua 63° edizione, dedicandone una sezione a una destinazione speciale: l’India. Per sintonia, passione e curiosità ho speso (bene) qualche ora del mio tempo per apprezzare alcune delle proiezioni proposte, imbattendomi in due film particolarmente emozionanti, Monsoon e Char, the no man’s island. La prima cosa che mi viene in mente per descriverli è che sono un inno all’acqua, alla vita, a quell’anima dell’India che dà e toglie come fiume in piena, come lo scrosciare dei monsoni, come gli schizzi di chi gioca nuotando in mezzo alle strade inondate. Negli occhi di Akhila, la protagonista dodicenne di Monsoon e nello sguardo di Rubel, quattordicenne che racconta la vita in mezzo al fiume, si legge un’India irrequieta e allo stesso tempo arresa alla maestosità della natura, che rompe gli argini e si porta via pezzi di casa, di memoria, di quotidianità da ricostruire altrove, con un po’ più di dolore e un po’ più di speranza.
Anche in questi casi è frequente che sia l’intervento dell’uomo a definire nuovi equilibri, a volte assestandoli, più spesso rendendoli fragili e incerti. Pensiamo ad esempio alla diga di Farakka, che dal 1975 devia il corso del Gange creando immensi laghi lungo uno dei confini più problematici del mondo, quello tra India e Bangladesh, laghi dove si sono formate piccole isole diventate terra di nessuno, che l'innalzamento globale delle acque sta erodendo pezzo dopo pezzo. Ma pensiamo anche alle isole fluviali del Brahmaputra in Assam o nel Golfo del Bengala, o nel Gujarat, dove i villaggi dei pescatori vengono inghiottiti dal mare uno a uno, al ritmo di 3 km di costa scomparsi in 20 anni e dove Brahmaputra, Gange (Padma in Bangladesh) e Meghna hanno costruito e distrutto centinaia di isole che in bengalese si chiamano, appunto, char.
Sono isole che ospitano più di 600 mila abitanti, periodicamente sommerse a causa dell’erosione e delle inondazioni, che diventano così un prodotto collaterale delle dinamiche idro-morfologiche di questi grandi fiumi. Generalmente vengono sommerse a luglio, quando le acque piovane dalle cime dell’Himalaya si dirigono verso sud, e riemergono poi soltanto a novembre, lasciando durante questo periodo migliaia di sfollati che cercano di sopravvivere come meglio possono lungo le rive dei fiumi o nelle char vicine, aspettando mesi e a volte persino anni in attesa che l’acqua retroceda.
Una precarietà diffusa che non implica semplici disservizi, ma compromette in maniera tragica l’accesso ai servizi educativi e sanitari. Questi ultimi in particolare presentano gravi deficienze soprattutto per la difficoltà di utilizzo di acqua pulita e potabile. Secondo Mohiuddin Ahmad Bulbul, ricercatore senior per l’ong BRAC - Bangladesh Rural Advancement Committee, “nelle chars solo l’11% delle case possiede latrine chiuse, stima che scende al 5% per le char più piccole e che invece, nel resto del Paese, si aggira attorno all’85%”. Questi dati parlano da soli e sono sufficienti a spiegare l’altissima incidenza di casi di diarrea (18,5% rispetto al 7% nel resto del Paese), confermando l’aggravarsi della situazione durante le inondazioni monsoniche, quando spesso anche i pozzi di acqua potabile vengono sommersi. A questo si aggiungono le difficoltà nel raggiungere e frequentare le scuole, e di conseguenza la quasi totale mancanza di consapevolezza da parte della popolazione, per lo più ignara del fatto che diarrea, tifo, dissenteria e altre malattie gastrointestinali sono causate dalle feci umane e quindi indissolubilmente legate alle abitudini di defecare all’aperto. Fatima però, che vive sull’isola di Kazla, afferma: “Usare le latrine impedisce ai germi di diffondersi, ci mantiene sani e preserva la nostra dignità”, a testimonianza che spesso l’attenzione per la comunità e per il benessere dei suoi abitanti passa attraverso le donne e l’istruzione. Ma non si tratta solo di costruire latrine, si tratta anche di proseguire nella diffusione di informazioni, come fa Rubol Ludhi, volontario della Rural Development Academy di Bogra, che tra la frustrazione per la lentezza e le criticità del processo e la fiducia nella necessità del suo lavoro, si confronta ogni giorno con richieste che implicano un radicale cambiamento di cultura e di abitudini.
E’ così che il regista Sourav Sarangi, filmando per anni questo microcosmo, racconta la storia della sua terra da dietro una telecamera, seguendo i passi di Rubel mentre contrabbanda riso da una sponda all’altra di un’isola che di qua è India e di là è Bangladesh, trasportando assieme a sacchi di 30 chili anche i sogni di un futuro che pesa più dei cereali e dei giorni passati a evitare le guardie di confine, a insistere per frequentare qualche giorno di scuola di fronte a un padre che lo vorrebbe votato al lavoro nero e alla causa familiare (dote della sorella compresa). Una storia di bambini cresciuti troppo in fretta, di quelle che si sentono spesso ma aggravata da una natura possente e inclemente, che divora giorno dopo giorno un’isola dall'apparenza paradisiaca, dove si sopravvive senza strade né ospedali, né scuole, senza patria né indirizzo, sull’orlo di un confine che mai più che in questo caso si può definire liquido. Confine tra acqua e terra, confine tra due Stati, confine tra desolazione e speranza, mentre i capricci del fiume erodono e accumulano costa a una velocità impressionante, sciogliendo la riva come castelli di sabbia costruiti troppo vicini al mare e modificando il paesaggio di giorno in giorno.
In tutto questo la natura è padrona, è dea rispettata e temuta alla quale ci si arrende senza imprecazioni e senza colpe, senza tentare di arginarla o cementificarla, semplicemente sintonizzandosi sulle sue onde.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.