L’Italia e la partita libica

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Immagine: Atlanteguerre.it

Una sorta di nuovo caso Al Masri  potrebbe profilarsi con la segnalazione in Italia di Abdel Ghani al-Kikli, capo milizia libico che, per il dipartimento di Stato americano,  sarebbe responsabile di “crimini contro l’umanità nelle prigioni di Ayn Zarah e Abu Salim”.  Al-Kikli, che sarebbe anche sulla lista dei ricercati della Cpi, è a capo di una milizia che, secondo le Nazioni Unite,  è stata “ripetutamente coinvolta in violazioni e abusi”. Una nuova patata bollente per Roma. Ecco in una breve sintesi la posizione italiana nel complesso scacchiere del Paese nordafricano.

di Sara Cecchetti

Spazio privo di un soggetto politico dominante, scisso tra forze opposte e ingerenze straniere determinanti, il territorio libico costituisce forse uno dei maggiori teatri di prova dell’incapacità italiana di produrre una visione strategica per i propri interessi. L’attenzione dei media nazionali è stata di recente catalizzata dal caso di Al Masri. La gravità dell’accaduto sembra non aver, tuttavia, condotto a una riflessione di più ampio respiro sulle dinamiche geopolitiche interne al Paese, in cui l’instabilità continua a fare da sovrana. L’Italia, nel mentre, dopo le colpe del passato coloniale, non sembra riuscire a pensare a un intervento di sostegno per la pacificazione. Vero è che Eni non ha mai abbandonato la Libia neppure dopo la caduta del colonnello Muammar Gheddafi, ma al di là del continuare a rispondere ad interessi di natura economica – la Libia è uno dei Paesi con le maggiori riserve di petrolio nel pianeta – e della dubbia eticità di tali azioni, il governo italiano non è riuscito a proporsi come agente capace di giocare un ruolo nel tentativo di risanare un territorio oramai frammentato in più parti: Tripolitania, Fezzan, Cirenaica.

In particolar modo, se da un lato si ha il Governo di Unità Nazionale che, riconosciuto e sostenuto da Turchia e Unione Europea, estende il suo controllo su Tripoli, dall’altro c’è la zona della Cirenaica in cui il potere è nelle mani del generale Khalifa Belqasim Haftar. Ad unirsi a tale contrapposizione ci sono, poi, milizie locali mosse da interessi personali, come del resto vale per i maggiori attori in gioco; basti pensare alla difficoltà nell’arrivare a regolari elezioni, rese impossibili dal timore dei contendenti di perdere i propri benefici politici ed economici. Se a sostegno del Governo di Unità Nazionale è sempre maggiore il ruolo della Turchia, a dare appoggio ad Haftar vi sono altrettanti attori: Emirati Arabi, Egitto – i cui interessi vanno dalla sicurezza regionale al versante economico – ma soprattutto Russia...

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