Il Tibet resiste: la testimonianza del primo ministro Sangay

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In un clima di altissima tensione si è celebrato la settimana scorsa il capodanno tibetano, il Losar, una delle più grandi feste di questa cultura. Dal Tibet arrivano notizie di monaci che si danno fuoco, di un controllo capillare e poliziesco del territorio da parte delle autorità di Pechino, e del solito scambio di accuse tra la dirigenza cinese e il Dalai Lama. La propaganda cerca di nascondere la situazione ma la realtà dei fatti è sotto gli occhi di tutti.

Radio Cina internazionale, l’emittente ufficiale della Repubblica popolare che trasmette anche in Italia, dà un quadro idillico dei festeggiamenti per il capodanno tibetano: “Il 22 febbraio è il primo giorno del nuovo anno tibetano, il Losar, che nel 2012 è l’anno del drago d’acqua. I tibetani di tutto il paese festeggiano la ricorrenza indossando i loro costumi festivi. Nella prefettura autonoma tibetana di Ganzi, nella provincia del Sichuan, i tibetani in costume comprano merci di capodanno e libri e assistono a spettacoli di canti e danze. Nella piazza della cultura del villaggio di Ennai, della cittadina di Shaliuhe, nella prefettura autonoma tibetana di Haibei, nella provincia del Qinghai, i tibetani in costume danzano, in un’atmosfera di festa”.

Di tutt’altro tenore le notizie riportate da tutte le agenzie di stampa internazionali. Citiamo per esempio l’ANSA: “[Il capodanno] è insolitamente silenzioso. «Di solito ci riuniamo sulla collina per cantare dei mantra, quest’ anno non possiamo farlo, voi sapete il perché», mormora un giovane monaco.

 

Il perché è presto detto: l’ondata di «immolazioni», cioè i tentativi, spesso riusciti, di suicidarsi dandosi fuoco che si è sviluppata negli ultimi undici mesi nelle aree a popolazione tibetana della Cina. Le immolazioni hanno portato ad una serie di proteste in diverse aree tibetane che in alcuni casi, secondo i gruppi di tibetani in esilio, si sono concluse con decine di arresti. … Il divieto di celebrare il Losar e la successiva festività chiamata Monlam è stato confermato all’ANSA da decine di tibetani, monaci e laici”.

Una fonte citata da Asianews conferma la situazione fornendo una descrizione ancora più drammatica: “Sono appena tornato da Lhasa. I tibetani stanno scomparendo: ognuno è terrorizzato dal bagno di sangue che sembra inevitabile. Al momento a Lhasa vivono circa 1,2 milioni di cinesi di etnia han e 200mila tibetani. La maggioranza di questi vive in aree quasi del tutto circondate da stazioni militari, con mura alte più di due metri: alcune di queste hanno in cima il filo spinato. L’isolamento dà l’impressione di quello che era il Ghetto di Varsavia”.

In questo contesto si colloca la visita del primo ministro del governo tibetano in esilio Lobsang Sangay in Italia e in particolare nelle province autonome di Trento e di Bolzano. Sangay, eletto nel 2011 nel corso di una consultazione democratica tenutasi in India, è un laico e rappresenta una figura che deve traghettare la transizione del popolo tibetano dalla precedente forma di governo teocratica a una più rappresentativa, cammino incominciato con le dimissioni del Dalai Lama dalla sua carica.

Il Dalai Lama ha fatto un passo indietro. Si occupa solo del potere spirituale. Il “temporale” ha visto una moderna campagna elettorale che ha coinvolto le comunità tibetane in esilio sparse in 50 stati nei diversi continenti. Ha vinto Lobsang Sangay, 44 anni che si autodefinisce come “un semplice ragazzo con enormi responsabilità”. Ha investito moltissimo nel raggiungere molte comunità, a dorso di Yacht o attraversando guadi in jeep.

Infanzia in un piccolissimo villaggio indiano ove, è lui stesso a dirlo, “prima di andare a scuola, raccoglievo legna da ardere e fieno per le bestie. Ho sempre mangiato riso e lenticchie. Superiori a New Delhi e poi una borsa di studio per Haward Univesity ove mi laureai e lavorai come ricercatore fino all’1 aprile 2011. No. Non fu un pesce d’aprile. Fui eletto e diventai Capo di Stato. 250 euro di salario”.

I tibetani, si sa, non hanno passaporto ma sono profughi o apolidi (cittadini senza patria) aggiunge Roberto Pinter dell’associazione Italia Tibet. Lo stesso Primo Ministro ha avuto problemi di visto in quanto le autorità conoscono la sua attività di propaganda della causa.

Durante le olimpiadi del 2008 s’era acceso un faro sulla questione ma poi fu subito spento con il cessare dei giochi. Ora, purtroppo, per mantenere viva l’attenzione sono 24 i monaci che si sono dati alle fiamme in quanto nei giovani tibetani è ancora forte la richiesta che il Dalai Lama possa tornare alla Sua terra.

I giovani sono la speranza del Tibet. La Cina si era illusa con il consumismo di corromperli ma dopo 53 anni i giovani dimostrano di difendere la loro cultura definita dal prof. Toniatti come “patrimonio per l’umanità”.

Ma i tibetani non sono i soli. Sono più di 50 le minoranze che rivendicano autonomia. E sono, ormai, decine di migliaia le manifestazioni contro Pechino da loro organizzate ogni anno. Nonostante il silenzio assordante dell’Europa. Nonostante Monti, Prodi o Berlusconi non abbiano mai fiatato a favore di questi popoli.

Nel corso dell’incontro il presidente della provincia di Trento Dellai ha consegnato la “Carta di Trento per il Tibet”, una risoluzione di tutte le province e regioni autonome italiane (consultabile qui in formato .doc) in favore della causa tibetana, già approvata e offerta nel 2009 al Dalai Lama. Nel documento si legge tra l’altro: “L’autonomia delle Province e Regioni che noi rappresentiamo è la dimostrazione che i conflitti possono avere una soluzione non violenta rispettosa dei diritti di tutte le parti, che è possibile conservare le identità e le culture dei popoli anche se minoritari attraverso forme di autonomia e di autogoverno, che i diritti delle minoranze sono pienamente compatibili con la sovranità di uno Stato e con l’unità dello stesso.

Per queste ragioni riconosciamo la decisione del Dalai Lama e del parlamento e del governo tibetani in esilio, di aver scelto, al posto della lotta per l’indipendenza, la via dell’autodeterminazione interna. La proposta contenuta nel Memorandum dell’autonomia per tutte le regioni del Tibet, è il modo più adeguato per ottenere il riconoscimento dei diritti del popolo tibetano all’autogoverno, e la conservazione della loro lingua, cultura, religione, nonché della salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali”. [PGC]

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