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Guatemala: quando il femminicidio è di Stato
Popoli minacciati
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L’8 marzo scorso è stata una giornata funesta in Guatemala: 41 adolescenti sono morte nell’incendio della casa-rifugio dove erano ospitate. L’Hogar "seguro" Virgen de la Asunción - mai nome fu meno azzeccato - è un istituto pubblico che accoglie giovani tra i 13 e i 17 anni con alle spalle storie di maltrattamenti, abbandono, perdita dei genitori, provenienti da famiglie senza risorse o affidati alla casa da provvedimenti legali a causa di precedenti penali. La risposta del governo a queste problematiche sociali è stata quella di costruire un mega centro di accoglienza per 500 minori, attivo dal 2006 e da allora sempre gestito dallo Stato. Al momento della tragedia gli ospiti erano però 800, una cifra che andava ben oltre i limiti di capienza dell’edificio e del suo personale e dove bambini e adolescenti erano costretti a vivere in condizioni subumane, secondo quanto riportato da diverse fonti. Almeno 45 denunce erano state presentate da varie istituzioni del paese, oltre che dall’Unicef, stigmatizzando le condizioni di vita all’interno dell’hogar e alcuni di essi avevano invocato la chiusura dell’istituto. Tra questi l’avvocata Paula Barrios, direttrice dell’associazione Donne che trasformano il mondo, che denunciò la sparizione di 200 ragazze tra il 2012 e il 2016. Vi sono poi numerose testimonianze che parlano di pasti con cibo avariato, violenze, stupri, ragazze vittime di tratta.
E’ proprio di fronte ai ripetuti casi di abusi e violenze sessuali da parte dei lavoratori, educatori e altre figure che avrebbero dovuto essere di riferimento all’interno dell’istituzione, che spesso le ospiti organizzavano momenti di protesta. Il 7 marzo, senza nessuna pianificazione, è cominciata una protesta spontanea da parte di un gruppo di ragazze, subito supportate da un gruppo di adolescenti maschi ospiti anch’essi dell’istituto. Di fronte a tale azione il personale dell’hogar ha reagito scompostamente, invitando in malo modo i partecipanti alla protesta a lasciare il rifugio. Riacciuffati dalla polizia nei boschi circostanti la casa di accoglienza, ragazze e ragazzi sono stati picchiati e sottoposti ad abusi, per essere poi rinchiusi in due diverse sale all’interno dell’hogar. I ragazzi sono stati chiusi nell’auditorium, mentre almeno 50-60 ragazze sono state chiuse a chiave in una sala di 16 metri quadrati senza neanche la possibilità di usare i servizi igienici. La polizia ha distribuito materassi e al mattino, al momento di servire la colazione, di fronte alle richieste insistenti da parte delle ragazze di poter accedere ai servizi igienici, le poliziotte hanno negato il permesso e risposto “che dovevano marcire”. Di fronte a tale trattamento le ragazze hanno cominciato a protestare nuovamente, dando fuoco a uno dei materassi, da cui poi le fiamme si sono propagate rapidamente agli altri materassi e al resto dell’aula, trasformandola in una trappola micidiale dove la temperatura ha raggiunto i 900 gradi.
Di fronte alla prime disperate richieste di aiuto è accorso un gruppo di ragazzi, deciso ad aiutare le compagne, ma è stato prontamente respinto dalla polizia a suon di calci e percosse. Le poliziotte intanto non hanno mosso un dito, secondo le testimonianze insultavano le ragazze auspicando per loro sofferenza e dolore. Una sopravvissuta racconta di essere svenuta e, al suo risveglio, di essere riuscita a sollevarsi e a fatica uscire dalla porta, che nel frattempo era stata aperta, per poi ricevere percosse da parte della polizia. In tutto ciò i familiari delle vittime non sono stati prontamente avvertiti, e il presidente guatemalteco Jimmy Morales non ha saputo fare altro che proclamare un lutto nazionale di tre giorni, senza nemmeno avviare inchieste ufficiali su quanto accaduto o recarsi di persona presso l’hogar.
Secondo Desinformémonos vi sono varie negligenze imputabili al governo di Jimmy Morales e al sistema giudiziario guatemalteco. Innanzitutto, di fronte all’ordine giudiziario del dicembre 2016 di migliorare le condizioni dell’hogar affinché non vi fossero violazioni dei diritti e della dignità degli ospiti, il governò fece ricorso in appello. Secondo, il governo non ha sostenuto le spese per i funerali delle vittime, come era stato inizialmente promesso, e l’Hogar seguro continua ad essere in funzione, nonostante l’annuncio del 9 marzo del presidente Morales che parlava di una chiusura almeno temporanea. Molti ospiti dell’hogar sono poi stati fatti rientrare nelle loro famiglie di origine, a seguito di un ordine presidenziale datato 8 marzo, nonostante molti di loro avessero subito abusi e violenze proprio in famiglia. Infine, il governo e il ministero del welfare (Secretaría de Bienestar Social) non hanno informato ufficialmente i familiari degli 800 ospiti dell’hogar, come era stato ordinato da un tribunale. Anche le stesse famiglie delle vittime spesso hanno saputo dei fatti attraverso i giornali, o hanno dovuto attendere giorni prima di sapere se la propria figlia era o no tra le vittime del terribile incendio.
Queste gravi responsabilità da parte del governo guatemalteco hanno fatto parlare da più parti di femminicidio di Stato, e in particolare hanno mostrato in maniera eloquente come funziona il sistema statale nei confronti di chi appartiene agli strati più deboli della popolazione guatemalteca, in modo particolare le donne. Varie manifestazioni sono state organizzate in Guatemala e in tutto il mondo presso le ambasciate del paese centroamericano, per stigmatizzare quanto accaduto e chiedere giustizia per i fatti dell’8 marzo. Proprio mentre in tutto il mondo le donne scendevano in piazza per un 8 marzo di lotta contro la violenza e per la rivendicazione dei propri diritti al grido di “Non una di meno!”, queste ragazzine venivano arse vive nell’indifferenza dei rappresentanti dello Stato, come a ricordarci che non è mai il momento di abbassare la guardia.
Michela Giovannini

Dottoressa di ricerca in sviluppo locale, è appassionata di America Latina, popoli indigeni, autogestione, lotte e resistenze politiche e sociali. Ha trascorso periodi di studio e ricerca sul campo in vari paesi. Messico e Cile sono i principali contesti in cui si sono svolte le sue ricerche, dedicate principalmente a varie tipologie di organizzazioni dell'economia sociale e solidale.