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E l’Europa sta a guardare
Popoli minacciati
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L’Europa sta aspettando l’insediamento ufficiale di Trump alla Casa bianca. Intanto le istituzioni europee, a cominciare dal Parlamento di Strasburgo, sono impegnate nella nomina del nuovo presidente del Parlamento europeo: i posti di potere sono ovviamente ambitissimi, a prescindere dal reale stato dell’Unione, ormai da anni in crisi. L’istantanea della situazione la dà la marginale (a prima vista) vicenda del mancato ingresso dei parlamentari europei del Movimento 5 Stelle nel gruppo dei liberali dell’Alde. La vicenda ha dei contorni grotteschi: Grillo che, dopo settimane di incontri segreti, si accorda con il capo gruppo liberale Guy Verhofstadt, già primo ministro belga ed emblema dei “burocrati di Bruxelles”; segue una consultazione on line del M5S (indetta con un giorno di anticipo con un post) a cui partecipano il 25% degli iscritti che, manco a dirlo, ratificano la decisione di Grillo; infine la sollevazione degli altri liberali europei che, in un sussulto di dignità, impediscono questa surreale confluenza mandando all’aria i piani dei 2 “leader”. Grillo e Verhofstadt escono sconfitti. Per il comico nessun problema: è segno del complotto. Per il belga la fine di ogni sogno di presidenza. Ancora una volta però ad essere sconfitto è il progetto europeo, ridotto all’impotenza complice di disastri (vedi la gestione del flusso di migranti), all’attesa per decisioni prese altrove e infine al mercimonio di piccole cariche in Europa con presunti vantaggi elettorali in patria.
Stiamo vedendo le difficoltà della Gran Bretagna per concretizzare la Brexit. Gli altri non stanno meglio: nel corso di quest’anno elezioni in Francia, Olanda, Germania e forse Italia potrebbero cambiare (ulteriormente in negativo) lo scenario. Al di là degli appelli volontaristici, lanciati soprattutto in occasione delle ricorrenze del bel tempo che fu (quest’anno il sessantesimo del Trattato di Roma, istitutivo della CEE), non si riesce a sbloccare la situazione. La speranza è che l’Europa non precipiti definitivamente in una devastante crisi che ci riporterebbe indietro di un secolo. La fine dell’euro, per fare un solo esempio, scatenerebbe una depressione economica dagli esiti imprevedibili, generando tensione sociale e aprendo la strada a regimi autoritari, sullo stile di Putin. Paesi come l’Ungheria e la Polonia vanno già decisamente in questa direzione.
I dirigenti europei erano sicuri di una vittoria di Clinton. Lo scenario preventivato (e molto rischioso) era quello di un acuirsi delle tensioni con la Russia, il rafforzamento della presenza della Nato ai suoi confini orientali e il riaccendersi della guerra in Ucraina. La possibilità di una “distensione” tra Trump e Putin sarebbe invece un utile passo in avanti anche per l’Europa. Ma quale sarà il prezzo di un eventuale accordo? Non certo un miglioramento della qualità democratica del regime putiniano né un freno alle derive fasciste di mezza Europa. Anzi: Stati come la Polonia o le Repubbliche baltiche, dimenticate anche dagli americani, finirebbero per chiudersi ancora di più in nazionalismi fuori dal tempo ma ugualmente pericolosi. L’Ucraina poi è un discorso a sé. Il governo filo occidentale di Poroshenko – foraggiato dal clan Clinton – presenta inquietanti affiliazioni con la peggiore destra europea; i ribelli filo russi, agli ordini del Cremlino, non pensano certamente al futuro della Nazione: sono mercenari che amano la guerra. Anche con Trump la miccia resta accesa. The Donald, secondo una classica politica delle “sfere di influenza” e dell’equilibrio di potenza, potrebbe regalare a Putin l’Ucraina, con conseguenze imprevedibili per l’Europa intera. Che, come detto, sta a guardare.
Eppure, in un quadro pacificato, l’Ucraina sarebbe un Paese chiave non solo a livello geopolitico ma anche economico. Un territorio enorme (grande 2 volte l’Italia), praticamente da ricostruire, con la necessità di notevolissimi investimenti per bonifiche ambientali, potrebbe essere una frontiera per una possibile ripresa economica europea. Invece niente: l’instabilità permane con la possibilità di uno sfascio completo.
Capiamo allora come le diatribe politiche italiane pecchino di chiusura e provincialismo. Impossibile fare qualsiasi previsione sull’evolversi del quadro generale: non sappiamo neppure con quale legge elettorale saremo chiamati alle urne. L’improvviso crollo del governo Renzi – non si sa quanto voluto dallo stesso premier – al termine di una campagna referendaria suicida per l’esecutivo, ha lasciato il caos. All’orizzonte il ritorno a una legge elettorale proporzionale e quindi a una grande coalizione, con dentro ancora quel che resta di Berlusconi e di Forza Italia. Tale assetto genererà un quadro politico fragile e debolissimo in cui l’Italia sarà dunque condizionata da quanto accadrà a livello globale e soprattutto oltre confine con le elezioni francesi, vero spartiacque dell’anno.
Inutile allora parlare del ruolo dell’Europa nelle altre crisi internazionali ai suoi confini: Siria, Turchia, pressione migratoria. Eppure come ha scritto padre Alex Zanotelli, chi ama la pace dovrebbe farsi sentire. In che modo però? Il volontarismo e l’indignazione da soli non bastano.
La sensazione di impotenza per i semplici cittadini è molto grande. Oggi più che mai sono a rischio i fondamenti valoriali stessi in grado di suggerire almeno un orizzonte meno bellicoso. I “diritti umani” sono uno di questi fondamenti. Ma perché lo sono? Perché sottintendono un valore ancor più importante: l’uguaglianza degli esseri umani. Ecco il principio mai attuato davvero. E adesso messo in discussione anche a livello teorico. Ma su questo gli operatori di pace – e io direi anche chiunque abbia a cuore lo sviluppo reale del mondo – non possono transigere. Partiamo da questo per ricostruire un senso alla politica e all’Europa.
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.