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Come prima cosa: casa
Popoli minacciati
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Grafica a cura di Ayla Parisi
ALTRO MODO. Soluzioni diverse a problemi comuni è un podcast mensile di Unimondo, un progetto di Fondazione Fontana Onlus. Testi e voce narrante sono di Michele Simeone. Grafica a cura di Ayla Parisi. Musica di BoDleasons, tratta da Pixabay con licenza Pixabay. Questa puntata è stata realizzata con il contributo della famiglia Cattani, in ricordo di Piergiorgio Cattani.
Questo mese parliamo di Housing First, un modello innovativo di intervento a favore delle persone senza dimora. Per comprendere meglio il fenomeno e le potenzialità dell'Housing First, nonché le sue applicazioni, ho contattato la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora.
Per fio.PSD hanno partecipato Caterina Cortese, responsabile dell’ Area Analisi, Ricerca e Promozione culturale; Agnese Ciulla, responsabile dell’Osservatorio e responsabile della segreteria nazionale e Giuseppe Dardes responsabile della formazione per fio.PSD e coordinatore della Community italiana dell’Housing First.
Maggiori informazioni sul sito https://www.fiopsd.org
BUON ASCOLTO. PRIMA PARTE: https://open.spotify.com/episode/6IQDxLbudvJCVJRmSnl5KH
SECONDA PARTE: https://open.spotify.com/episode/5DxpgLLFhK64TBv4y1s1By
Secondo un censimento ISTAT del 2015 le persone senza dimora in Italia sono circa 50’000, come una piccola città, composta da individui spesso considerati invisibili, ma che possiamo incontrare quotidianamente.
Se non ci si confronta con loro, se non si prova a conoscere le loro storie, quello che ci rimane sono solo opinioni o giudizi superficiali.
A volte abbiamo l’idea romantica della persona che sceglie di vivere fuori dalla società, altre volte giudichiamo il loro stato come mancanza di volontà o peggio, senza mai porci il problema di come nascano queste situazioni o come avvicinarci a loro, non riuscendo a vedere nessun tipo di punto in comune.
Per provare a comprendere meglio questo fenomeno ho contattato la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, abbreviata in fio.PSD, un ente del terzo settore che consiste in una rete di organizzazioni pubbliche e private attive per fornire servizi alle persone senza dimora.
La federazione nasce nel 1990 a seguito di azioni di collaborazione e coordinamento iniziate anni prima tra gli organismi dedicati alla “grave emarginazione” nel nord Italia e ora conta più di 150 soci in tutta Italia, costituiti da gruppi, associazioni e servizi dedicati alle persone senza dimora.
Il suo lavoro è quello di collaborare con i soci, promuovendo politiche, interventi, formazioni e accompagnamento per tutti gli enti interessati a migliorare e rafforzare la qualità dei servizi destinati alle persone senza dimora, anche attraverso azioni volte anche alla sensibilizzazione e alla comunicazione, come mi spiega Caterina Cortese responsabile dell’ Area Analisi, Ricerca e Promozione culturale e dell’ osservatorio della federazione
CC “Facciamo attività sicuramente di advocacy e promozione dei diritti della tutela delle persone senza dimora, e lo facciamo con le istituzioni, con la società civile, quindi promuoviamo attività di sensibilizzazione e di conoscenza sul fenomeno che riteniamo sia fondamentale per comprendere ed agire nel modo più adeguato e coerente nei confronti delle persone più vulnerabili, quindi senza pregiudizi, senza stigma, senza preclusione.
Facciamo attività di formazione, quindi ci rivolgiamo agli operatori sociali, agli assistenti sociali, ai servizi pubblici e privati per migliorare le capacità di tutti noi di intervenire prontamente nei confronti delle persone più fragili e facciamo anche attività di accompagnamento alle amministrazioni nello strutturare i servizi in base alle esigenze del proprio territorio, perché appunto l'homelessness o grave marginalità adulta, come si usa più spesso in Italia per definire il fenomeno della condizione di senza dimora, è un fenomeno assai complesso e che è cambiato molto negli anni.
Clochard, barbone, vagabondo, eccetera, sono dei termini ormai superati perché rimandano a una visione un po' anche, se vuoi, romantica, un po' passata, un po' naif, della persona che decideva per scelta di vivere senza legami, senza confini. Nel tempo invece questa è diventata una condizione subita dalle persone che vivono quindi una condizione di povertà estrema, di grande deprivazione di risorse, di reddito, di lavoro, ma soprattutto di una mancanza di una casa.
La mancanza di una casa è la causa determinante della condizione di senza dimora, intesa proprio come un luogo dove la persona può esprimere se stessa, il proprio essere, le proprie relazioni, costruirsi una famiglia, avere degli obiettivi di vita. La mancanza di una dimora unitamente a tutta una serie di problemi che queste persone portano con sé crea un processo di impoverimento, di isolamento e di marginalità che piano piano li spinge sempre più distante dal sistema dominante, diciamo, dalla società in cui viviamo tutti noi e questo crea ovviamente dei margini, dei confini, delle grandi barriere per le persone che vivono questa condizione.”
La presenza di queste barriere crea una certa distanza, che in qualche maniera è anche rassicurante: “quella persona è molto diversa da me, a me non potrà mai succedere”.
L’evoluzione del fenomeno e l’esperienza degli operatori sul campo ci raccontano un’altra storia, o meglio tante storie, quelle di persone molto diverse che sono in strada per i più svariati motivi, anche banali, come una separazione, un licenziamento o la mancanza di un documento.
Un esempio di quante condizioni e storie differenti hanno vissuto le persone che incontriamo per strada ce lo dà Agnese Ciulla responsabile della segreteria nazionale della fio.PSD per la quale cura anche il supporto a enti locali e regioni.
AC “La restituzione che abbiamo da quella che è la narrazione e il racconto degli operatori che si trovano dentro i servizi, sia pubblici che privati, è quello di un allargamento delle persone, per esempio lavoratori poveri, ovvero persone che fino a qualche anno fa e tuttora hanno un lavoro ma non riescono ad arrivare alla fine del mese.
Il tema del caro affitti, il tema del costo della vita, il tema anche del mancato accesso alle cure sanitarie se non di tipo privato, ci sono una serie di livelli di precarietà nella condizione di vita, di benessere, di stile di vita delle persone che è diventato molto fragile, quindi questo è un primo passaggio.
Ci sono anziani soli, quindi c'è questo tema dell'invecchiamento e degli anziani soli in casa, per esempio il barbonismo domestico è un altro livello di emarginazione, di grave emarginazione adulta.
Ci sono moltissimi padri separati, quindi persone che per vicende della vita si ritrovano poi a non poter sostenere un livello di vita che era quello possibile fino a qualche anno prima.
E ci sono oggi, e vengono, inserite dentro questo processo, donne vittime di violenza allontanate dagli uomini, dai compagni, quindi che fuoriescono dalle strutture per esempio di accoglienza per le casse rifugio indirizzo segreto e che quindi hanno bisogno di un processo di autonomia; c'è tutto il tema dei richiedenti asilo, delle persone migranti che fuoriescono dai servizi di accompagnamento e non riescono a fare quel salto di autonomia che è previsto nella presa in carico.
Ecco e quindi poi come vedi c'è una grande platea che è legata non alle condizioni specifiche ma anche a quello che è accaduto nella vita e quello che sta accadendo nelle nostre comunità, quindi il lavoro, quindi il tema di non trovare una casa a un affitto decente, con tutto il tema fortissimo oggi che ritorna costantemente soprattutto nelle grandi città con gli affitti brevi, il turismo concentrato nei centri storici e una difficoltà delle persone a vivere lì dove si lavora.”
Aiutare le persone che vivono in strada è l'obiettivo che accomuna i soci della FioPSD.
Questi organismi, diffusi sia nelle grandi città che nei piccoli centri, si occupano delle persone senza dimora a vari livelli, partendo dalle emergenze per far fronte alle necessità basilari, fino all’organizzazione di sistemi e strutture più complesse che possano accompagnare le persone senza dimora per l’intera giornata o per periodi più lunghi, il tutto grazie al prezioso lavoro degli operatori, anche volontari.
AC “Noi oggi ne stiamo parlando, ma c'è chi queste cose quotidianamente le vive, le sente e lo sappiamo che avvicinarsi a una persona senza dimora è difficile per tanti motivi.”
CC “Sono servizi che vanno dall'aiuto in strada, quindi le varie unità di strada che vanno presso le persone a portare viveri, distribuzione di abiti, medicinali da banco, insomma qualcosa di più leggero che possa alleviare in qualche modo delle circostanze di salute precarie che le persone vivono. Ci sono i servizi notturni quindi tutti i dormitori, gli ostelli, le strutture che accolgono queste persone solo nelle ore notturne per dare un posto letto; ci sono le mense, le mense sociali che possono essere aperte sia a pranzo che a cena e ci sono pochi, ancora troppo pochi centri diurni quindi delle strutture di accoglienza dove anche nelle ore diurne queste persone possono trovare un po' di ristoro e anche avere dei colloqui con i professionisti per provare a costruire un percorso di inclusione, di ripresa dei propri legami, delle proprie attività e poi ci sono tutti i servizi che provano a partire da un inserimento abitativo.”
Idealmente il lavoro di tutti questi operatori partecipa al componimento di un progetto più grande, volto ad accompagnare la persona senza dimora in un suo ritorno in società. Questo dovrebbe avvenire in una sorta di sistema gerarchico, in cui prima vengono le necessità emergenziali e poi a salire varie altre possibilità in un sistema definito “a gradini”.
Si tratta di un percorso classico a cui si è sempre fatto affidamento ma che ha dimostrato diverse criticità.
Di queste e delle possibili soluzioni ho parlato con Giuseppe Dardes, responsabile della formazione per fio.PSD e coordinatore della Community italiana dell’Housing First, termine inglese traducibile come “prima la casa”.
GD “Normalmente quando viene intercettata una persona in strada si cerca di sostenerla in una sorta di percorso ideale di fuoriuscita dalla sua condizione di grave emarginazione, offrendo innanzitutto in genere un aggancio in strada, questo funziona soprattutto nelle grandi città, ci sono le cosiddette unità di strada, cioè operatori sociali, più raramente anche qualche operatore sanitario, ma insomma la grande prevalenza è operatori sociali che incontrano queste persone, a volte con i camper, con altre strutture mobili, incontrano e cercano di leggere i loro bisogni essenziali, di dare a volte anche del cibo, del tè caldo in inverno, eccetera, per costruire dei primi agganci di relazione e poi orientare queste persone verso servizi diversi, un po' più strutturati, come possono essere una mensa, un ambulatorio, un dormitorio, eccetera.
È un sistema che mira ad insegnare alla persona a vivere nella propria casa, cioè l'idea è: questa persona ha perso le abilità, le possibilità di vivere all'interno di una casa, io l'accompagno in questo percorso a gradini assicurandomi che riceva il trattamento necessario dal punto di vista terapeutico o dei farmaci per problemi di salute che ha in corso oppure cerco di ridurre in questa scalinata tutti i suoi problemi comportamentali o che possono mettere a rischio la sua salute e quindi le dipendenze eccetera, eccetera.
Qual è l'enorme problema di questo sistema ormai radicato a livello internazionale e che a livello internazionale si è visto insomma che è faticoso e che non regge, è che le persone non riescono ad arrivare in cima alla scala. Sono pochissime quelle che riescono ad arrivare in cima alla scala, perché molti si fermano durante il percorso e ricominciano dal livello più basso.
Quindi cadono dalla scala e ricominciano dal livello più basso. Questa cosa è molto frustrante, cronicizza le problematiche della grave emarginazione adulta. Cioè ci sono sempre molte più persone in strada che sono in strada per molti anni, perché il sistema non riesce a farle uscire da questa condizione.”
L’applicazione di un metodo standardizzato su più livelli ha mostrato le sue criticità: da questa sorta di scala verso un ritorno nella società è facile cadere, anche fatalmente.
Abbiamo visto che è difficile stilare un profilo tipo della persona senza dimora: sono uomini e donne, giovani e vecchi, italiani da sempre o immigrati irregolari, ognuno con storie diverse e diverse difficoltà.
La caratteristica principale di una persona senza dimora, la prima che balza agli occhi nonché quella che la definisce è la mancanza di una casa, ma allora, perchè non partire proprio da lì?
GD “Alla fine degli anni 90 a New York uno psicologo di nome Sam Tsemberis , insieme a un'equipe di operatori sociali e grazie a una fortissima azione di ascolto e confronto con le persone in strada (quindi con gli utenti, con gli homeless) ha cercato di capire come si potesse uscire da questo meccanismo un po’ disfunzionale che non aiutava le persone effettivamente uscire dalle loro condizioni di grave emarginazione adulta e che intervistando le persone parlando con loro è venuto fuori che il loro primo desiderio e bisogno in realtà era proprio una casa.
E quindi fa questo salto logico ma anche abbastanza intuitivo di dire “ok se hanno bisogno di una casa, partiamo dalla casa”, da lì il nome Housing First, e quindi inseriamo le persone dalla strada direttamente in appartamento e intorno all'appartamento, intorno alla persona, costruiamo una rete di supporto sociale, di accompagnamento, che possa aiutare la persona in questo suo percorso di integrazione sociale, ma a questo punto partendo dalla possibilità della persona di sperimentare cosa vuol dire sentirsi a casa, sentirsi al sicuro.
Poi c'è stata la traversata atlantica con il primo progetto in Europa, a Lisbona con il professor José Ornelas, il progetto si chiama Casa Primero, poi dal Portogallo è arrivato in Francia, in Inghilterra ed è approdato anche in Italia nel 2014 grazie a fio.PSD e con il network housing first.”
Grazie all’intuizione della fio.PSD, la quale aveva osservato il metodo Housing First nei contesti internazionali con cui era in comunicazione, tra i quali ad esempio la federazione europea FEANTSA, nel 2014 il metodo Housing First arriva in Italia.
Inizialmente, fio.PSD dà forma al Network Housing First Italia mettendo assieme enti pubblici e soggetti del privato sociale con l'obiettivo di far conoscere il progetto e promuovere formazione degli operatori e azioni politiche. Nel 2020 il network si è aperto a tutti i soci fio.PSD diventando la Community Housing First Italia e dando a più persone la possibilità di conoscere e diffondere il metodo, che si basa su poche ma fondamentali regole.
GD “Quando una persona viene inserita in casa ci sono tre regole molto semplici, cioè la persona è tenuta al rispetto delle regole di convivenza o interne all'appartamento, se nell'appartamento c'è più di una persona, o relative al condominio.
è tenuta ad accogliere, ad accettare, almeno una visita settimanale da parte di questa equipe di accompagnamento, di supporto Housing First.
Terza regola, estremamente interessante, innovativa rispetto al modo in cui si è fatto lavoro sociale in Italia fino a dieci anni fa, la persona è tenuta a compartecipare, cioè si lavora sulle capacità residue della persona anche dal punto di vista economico e si chiede alla persona di mettere del suo, e quindi metterci anche risorse economiche per condividere anche dal punto di vista delle risorse il suo percorso di riabilitazione, integrazione sociale e quant'altro.”
Rispetto, accettazione e partecipazione sono le regole base affinché attorno alla persona possa essere costruito un progetto Housing First.
Il metodo si basa poi su 8 principi: il primo è che la casa è un diritto, un'affermazione importante che richiama la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e che oggi sembra interessare fasce anche molto diverse della società.
Altri principi sono legati a possibili problemi con le dipendenze, situazioni che non precludono alla persona la possibilità di accedere alla casa ma a cui viene invece dato tutto l’aiuto necessario a comprendere i rischi e l’origine del problema.
Infine, gli ultimi principi riguardano la centralità della persona nel progetto, che non è mai obbligata, bensì coinvolta.
In generale tutti i principi del sistema Housing First lavorano per e con la responsabilizzazione delle persone, ponendo una forte attenzione alla loro dignità, riaccompagnandoli nel ruolo di cittadini con diritti e doveri.
GD “Nei progetti Housing First, e quindi nell'approccio nel modello con cui si lavora, è fortissima questa dimensione della responsabilizzazione della persona (anche persone con capacità relazionali ma anche di coscienza di sé c'era molto molto compromesso) in realtà si continua e si rafforza tantissimo, si lavora ad empowerment nel lavoro sociale per rafforzare le abilità anche residue della persona, per tornare a poter scegliere, poter contribuire, fare dei passi nella direzione dello stare in un contesto con un livello di responsabilità man mano più alto rispetto a quello che poi la persona sente e può sentire.
E questo vuol dire proprio andare contro una logica assistenziale e che rende passive le persone e Housing First funziona e funziona sempre meglio quando la persona progressivamente prende sempre più in mano la sua vita e la responsabilità delle sue scelte.
Sono percorsi molto interessanti e molto sfidanti anche rispetto al cambio culturale per le stesse persone che aiutiamo, sia per noi operatori, ma le persone ci rimandano che non sono abituate a scegliere, a valutare, a capire cosa fare della propria vita perché vengono da una situazione in cui qualcun altro decideva per loro, pensava per loro…”
AC “Ogni storia di una persona è una storia a sé, che porta complessità, e quindi riuscire a farne procedure, processi, buone pratiche è sempre molto complicato.
In Italia c'è una grande fame, una grande richiesta da parte di comuni, di associazioni, del come si fa: come possiamo fare a riconoscere la residenza? come possiamo fare a fare in modo che quella persona venga accompagnata e presa in carico? Non è facile, perché ogni contesto ha le sue specificità e ogni persona la propria storia, quindi bisogna avere gli ingredienti e poi riuscire a comporre il miglior percorso possibile per quelle persone.
Il tema di Housing First è quello di dire prima la casa sì, perché tu puoi passare dalla strada alla casa, ma non ti posso lasciare solo in quel momento, perché se no ho reiterato un comportamento che potrebbe essere stato il trauma che poi ti ha riportato in strada.
Io posso avere una visione generale, che è quella dell'approccio dell'autonomia, che è l'approccio di riconoscere diritti, di guardarle le persone e non farle diventare trasparenti. Posso immaginare gli strumenti che possono essere utili. Ma poi la costruzione del percorso, mi permetto di dire una cosa, va fatto con la persona, non sulla persona.
Questo è anche un altro passaggio, è una sfida per tutti coloro che si occupano dei servizi. A pensare per le persone senza dimora si rischia di andare a sbattere contro un muro, perché il tema è pensare con le persone, capire fino a quanto ci possiamo anche spingere, fino a quanto possiamo reciprocamente intenderci.
E in questo io riconosco grandi competenze, grande forza e grande coraggio a tutti quegli operatori che si trovano in strada.
Finora abbiamo posto l’accento sulla responsabilizzazione delle persone senza dimora, ma il fenomeno ci obbliga a confrontarci anche con un tema di responsabilità collettiva.
Ogni ente della società civile, dal comune all’Unione Europea, ha fondi destinati all’eliminazione della povertà e c’è un forte lavoro anche da parte delle associazioni di volontariato, ma il tema è ancora legato a parole come decoro e degrado, che rendono persone diverse con storie diverse vittime di stereotipi e politiche superficiali.
Lavorare con le persone per le persone è difficile ma è la strada giusta da percorrere , non solo per chi è senza dimora, ma per la collettività.
CC “Quindi promuovere politiche di reddito, politiche abitative, politiche sociali che siano veramente rivolte a queste persone per metterle nelle condizioni di ripartecipare alla vita attiva perché finché noi teniamo queste persone ai margini la rimarranno e anzi continuano a sentirsi ancora più escluse.
La chiave dell'inclusione significa partecipazione, partecipazione in termini di diritti e di doveri. Se la persona viene messa nella condizione di essere cittadino attivo, visibile alle istituzioni, riconosciuto dalla comunità e dalla società civile, allora la persona si sente motivata e ridà anche un senso alla propria vita. Viceversa continuare a erigere dei muri o delle barriere o dei confini troppo stringenti lascerà queste persone completamente ai margini, ma soprattutto non le motiverà a rialzarsi o a rimettersi nelle città in cui già vivono. Non basta spostarli da una via all’altra, perché esistono, ed è bene prenderne consapevolezza e anzi conoscerle, ascoltarle e agire in maniera coerente e adeguata per il bene di tutta la comunità. La povertà non è un problema loro, è un problema di tutti noi, siamo chiamati come Repubblica, come società civile, come società democratica a prenderci cura delle persone più vulnerabili.”
AC “Credo che c'è un tema di comunità che è la vera sfida, quella di far passare un messaggio che è quello che dicevamo poco fa, di prendere in carico come comunità, essere consapevoli come comunità che i poveri non hanno la colpa di essere poveri e quindi la povertà può essere contrastata, combattuta se c'è una mobilitazione di comunità. Quindi questo secondo me è la prima sfida che quindi deve abbattere il pregiudizio e il senso anche di sentirsi derubati di qualcosa se qualcun altro chiede.
Forse se cambiassimo la prospettiva il contrasto alla grave emarginazione adulta potrebbe passare anche da un miglioramento delle condizioni di vita di tutti, non soltanto delle persone direttamente interessate.”
L’Housing First non si limita a fare ciò che il suo nome promette, ovvero offrire una casa a chi ne è privo. Va oltre la consegna delle chiavi, costruendo un percorso di sostegno che accompagna l'individuo, mano nella mano, verso la ripresa della propria autonomia mantenendo la propria dignità. In questo senso, diventa una potente metafora dell'impegno collettivo verso chi vive ai margini: un lavoro che non può fermarsi alle misure emergenziali, seppur fondamentali, ma che deve abbracciare la persona nella sua interezza e coinvolgere la comunità intera. Solo attraverso una comunità che sceglie consapevolmente di aprire le proprie porte, possiamo trasformare l’aiuto in un reale atto di inclusione, dando a tutti la possibilità di sentirsi a casa, non solo in un luogo, ma anche nella società.
Michele Simeone

Sono Michele Simeone, nato in provincia di Trento nel 1992. Laureato in Tecnologie Forestali e Ambientali all’Università di Padova, ho poi conseguito un master in Gestione e Conservazione dell’Ambiente e della Fauna presso l’università di Parma, assecondando la mia passione per la montagna e la natura. Dopo gli studi ho lavorato per 5 anni in un vivaio a Riva del Garda e ho ritrovato il mio interesse per la comunicazione durante la pandemia di Covid19, avvicinandomi al mondo dei podcast. Con duei amici ho creato Bestiacce, un podcast di divulgazione scientifica in chiave goliardica e per SanbaRadio di Trento ho preparato Terra Terra, un programma in 6 puntate sulla cura delle piante domestiche. Per Unimondo scrivo e registro Altro Modo, il mio primo podcast di giornalismo.