Cina: saccheggio delle risorse dei popoli indigeni confinanti

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"Italia e Germania fanno la corte alla Cina per ottenere contratti con le imprese statali cinesi: la "Repubblica popolare" cinese è il nuovo mercato da conquistare. A farne le spese sono i diritti umani. La Cina sfrutta all'inverosimile non solo le proprie popolazioni, ma anche quelle al di fuori dei propri confini, come ad esempio la Birmania" (Myanmar) - segnala l'Associazione per i popoli minacciati (APM) che ha dimostrato in Germania a metà settembre con Tibetani, Uiguri e l'organizzazione "Tibet Initiative Deutschland" contro lo sfruttamento selvaggio delle risorse di questi popoli. "Senza il saccheggio delle foreste e dei fiumi, delle miniere, dell'estrazione petrolifera e di gas naturale, il boom economico della Cina sarebbe impensabile: le catastrofiche conseguenze della fame di energia e di materie prime della Cina per Tibetani ed Uiguri non sono però oggetto di discussione dei colloqui economici di Italia e Germania con la Cina" - denuncia un comunicato di APM.

Per i nomadi tibetani e per le centinaia di migliaia di Uiguri nel vicino Turkestan orientale il boom economico significa la scomparsa delle proprie società tradizionali. Per assicurarsi le materie prime la Cina promuove l'insediamento di cinesi Han, come anche la costruzione di dighe, oleodotti, gasdotti, e collegamenti ferroviari. A causa dello sfruttamento della natura sempre più Tibetani ed Uiguri perdono le basi per la propria sopravvivenza. Allo stesso tempo in entrambe le regioni le autorità cinesi inaspriscono anche la repressione nei confronti delle popolazioni tradizionali stanziali per assicurarsi il controllo nel lungo periodo sulle risorse. Anche in Birmania o in Indonesia il disboscamento selvaggio praticato per sostenere il boom economico cinese, porta alla distruzione della base vitale di centinaia di migliaia di appartenenti alle popolazioni indigene. Per sostenere la fame cinese di materie prime in Birmania vengono abbattuti centinaia di migliaia di ettari di foresta e in Indonesia si dissodano grandi aree di foresta tropicale per far posto alle piantagioni di palma da olio.

Nella Birmania orientale la Cina sta progettando quattro mega dighe sul fiume Salween: in questa zona vivono più di 100.000 appartenenti alle nazionalità dei Karen, Shan e Karenni e per questo rischiano la deportazione. Il piccolo gruppo etnico degli Yintalai che conta solamente 1.000 appartenenti, rischia anch'esso l'annientamento a causa del megaprogetto, in quanto il suo spazio vitale verrebbe completamente distrutto. 96 villaggi sul fiume Salween sono già stati forzatamente evacuati e distrutti. Le mega dighe dovrebbero garantire fino a 16.000 Megawatt che dovrebbero però servire soprattutto a coprire il fabbisogno energetico della Thailandia. Il progetto sarà realizzato dall'impresa statale cinese Sinohydro Corporation insieme alla EGAT, impresa energetica tailandese. Sinohydro è anche pesantemente coinvolta nella costruzione della diga di Merowe in Sudan - conclude i comunicato di APM.

L'organizzazione "Aiutare senza confini" sostiene la causa dei Birmani di tutte le nazionalità nell'ambito del Burma Day (www.burmaday.org ) che si terrà il 30 settembre presso l'Accademia europea di Bolzano. Il tema della manifestazione sarà lo strisciante genocidio delle minoranze della Birmania.

Intanto il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha deciso di iscrivere la situazione in Myanmar (l'ex Birmania), una delle dittature del sud est asiatico, nel suo ordine del giorno permanente. La decisione, presa nei giorni scorsi a maggioranza e con il voto contrario della Cina, rappresenta una vittoria per gli Stati Uniti, secondo cui il paese rappresenta una minaccia per la comunità internazionale visto il suo ruolo nel traffico di stupefacenti e i ripetuti mancati rispetti dei diritti umani. Nel Rapporto internazionale sulla libertà religiosa, pubblicato annualmente dal Dipartimento di Stato americano, la Birmania è uno degli otto cosiddetti "Countries of particular concern" (CPC), paesi cioé in cui la situazione dal punto di vista delle libertà religiose è particolarmente preoccupante. L'iscrizione della Birmania nell'ordine del giorno permanente é stata decisa con dieci voti a favore, quattro contrari (oltre a Cina Russia, Qatar e Congo), e una astensione, la Tanzania. Nei voti sull'ordine del giorno non c'é diritto di veto. [GB]

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