Battere in ritirata è l’opzione migliore?

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Qualche settimana fa ho avuto occasione di salire per la prima volta sul suggestivo trenino rosso del Bernina, un servizio della ferrovia retica che si inerpica dai 429 m.s.l.m. di Tirano fino ai 2253 m.s.l.v. di Ospizio Bernina, per giungere a St. Moritz tra paesaggi mozzafiato. Il treno attraversa panorami che si srotolano per 61 km tra la vallata del fiume Inn e l’alta Engadina e che, nel 2008, hanno contribuito al conferimento al trenino di un prestigioso riconoscimento: Patrimonio Mondiale Unesco.

Durante il percorso, oltre a perdersi tra boschi e borghi fiabeschi e respirare aria rarefatta stando comodamente seduti in carrozza e semplicemente abbassando i finestrini, è possibile scendere ad ogni fermata per curiosare nei dintorni e approfittare, volendo, di qualche escursione nei dintorni. Una di queste, che in inverno ha un fascino fuori dal comune, è la passeggiata che conduce ai piedi del ghiacciaio di Morteratsch, il terzo più lungo delle Alpi orientali. Al di là dello scenario che si disegna a 360 gradi, un percorso selvaggio circondato da una natura che suscita devozione, il sentiero è una camminata nella storia, che negli ultimi anni sta vivendo una preoccupante accelerazione verso un destino non certo rassicurante.

Il ghiacciaio infatti, come molti altri nel mondo, sta soffrendo gli effetti dei cambiamenti climatici (che non sono fenomeni solo dei nostri giorni, intendiamoci, ma che ora come mai prima hanno molto a che fare con i nostri comportamenti) e si sta lentamente sciogliendo: i 16 pannelli che ne raccontano il lento e inesorabile recesso rendono in modo semplice, ma decisamente efficace, l’inquietudine di un ritiro che riassesta preziosi ecosistemi, che contribuiscono a tenere in bilico su un filo sottile la nostra stessa sopravvivenza.

Solitamente, la neve che non si scioglie d’estate e negli anni si compatta nella parte alta del ghiacciaio e si trasforma in ghiaccio (zona di accumulazione), cosa che invece non accade nella parte bassa del ghiacciaio, che ogni anno si scioglie un altro po’ (zona di perdita o ablazione). E’ sulla linea di divisione tra le due zone che si forma l’equilibro tra ghiaccio di nuova formazione e disgelo, equilibrio che si raggiunge quando il rapporto è di circa 2/3 tra zona coperta dalla neve e zona senza neve. Nel 1850/1860 il ghiacciaio ha raggiunto la sua massima estensione in conseguenza della piccola età glaciale – ed erano anni in cui la paura era quella contraria, e cioè che il ghiacciaio si estendesse al punto di ingoiare il vicino villaggio, anche se poi non si è mai esteso oltre l’attuale stazione ferroviaria. Oggi, invece, 5 km separano la stazione dal ghiacciaio, anche se toccarlo e addirittura camminarci sopra rimane relativamente facile e accessibile a quasi tutti… Rispettarlo, invece, sembra sia un po’ meno scontato. Non parlo dei numerosi mozziconi di sigaretta sparsi lungo il sentiero, tra l’altro frequentato da camminatori e sciatori, oltre che da turisti. Parlo della scarsa abitudine a tracciare connessioni tra ciò cui il nostro livello di comfort ci ha abituati a non rinunciare e le conseguenze che molti dei nostri comportamenti (come consumatori di beni principalmente, da quelli alimentari a quelli in plastica a quelli in materie prime) provocano.

Certo il ghiacciaio, muovendosi, ci aiuta a capire molto del mondo che non sappiamo osservare: lascia tracce di vita nelle rocce che modella, immagazzinando pietre di diverse dimensioni e forme, creando argini morenici e rocce “montonate”, ovvero rocce asimmetriche arrotondate a monte e segnate da erosioni ai fianchi lungo la direzione dello scorrimento del ghiacciaio stesso, spesso segnate da striature. Come si sposta? Al ritmo di circa 40 metri l’anno, muovendo qualcosa come 5 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Dove appena 100 anni prima c’era il ghiaccio ora troviamo i tipici boschi misti di pini cimbri e larici. Ecco dunque che le zone vicine al ghiacciaio sono aree di enorme interesse scientifico, perché rappresentano un “archivio climatico”, una sorta di termometro globale che funge da laboratorio sul campo per sistemi ecologici. E che di temperature non è l’unico a parlarci, se pensiamo che è di qualche giorno fa la notizia di un surriscaldamento globale in continuo aumento.

Non che la situazione sulle Dolomiti sia migliore: appena 15-20 anni l’aspettativa di vita di un ghiacciaio, come racconta il glaciologo Christian Casarotto in questa intervista rilasciata poche settimane fa. E per il 2050? Quali prospettive? Grandi cambiamenti stanno avvenendo, non solo nella Val Morteratsch, e un ghiacciaio li provoca e li rispecchia. Solo chi lo osserva attentamente può riconoscerne gli sviluppi, reagire, suggerire eventuali azioni per conservare il tesoro donato al paesaggio delle regioni limitrofe. La natura non conosce stati definitivi. Guardare nella sfera di cristallo dei ghiacciai significa guardare nel nostro futuro.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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