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Ban Ki-moon e l’“occupazione”del Saharawi
Popoli minacciati
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Mai incontro diplomatico dell’attuale Segretario Generale dell’ONU fu più disastroso. In visita il 5 marzo scorso al campo profughi saharawi di Tindouf, in Algeria, in occasione del 40esimo anniversario della proclamazione dell’indipendenza del Sahara Occidentale, Ban Ki-moon ha fatto riferimento alla presenza del Marocco in Saharawi con il termine di “occupazione”. Più precisamente la più alta carica dell’Organizzazione internazionale ha affermato che “i bambini nati all’inizio dell’occupazione, oggi hanno 40 o 41 anni. Dobbiamo dunque fornire loro un sostegno vitale e la speranza di un futuro migliore”.
La diplomazia marocchina si è immediatamente messa in moto denunciando il riferimento come “un insulto al governo e al popolo del Marocco”. Per la sua “sbandata verbale” Ban Ki-moon è stato accusato di esser venuto meno all’obbligo della riservatezza, della neutralità e dell’imparzialità obiettiva che il suo ruolo gli impone e inoltre, come precisa anche l’Ambasciata del Regno del Marocco in Italia, finora in nessuna risoluzione, rapporto o dichiarazione, l’ONU aveva mai definito “di occupazione” lo status del Sahara Occidentale. Conclusione? Le relazioni tra Marocco e Organizzazione delle Nazioni Unite sono ai minimi storici, con la minaccia neanche così eterea di Rabat di ridimensionare il proprio contingente di caschi blu e anche il contributo finanziario alla missione Minurso (Missione delle Nazioni Unite per l’Organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale). Il 13 e il 15 marzo si sono inoltre svolte in segno di protesta due imponenti manifestazioni di piazza rispettivamente a Rabat e a Laayoune, nel Sahara marocchino, con i numeri ufficiali che calcolano più di 3 milioni di persone “in difesa dell’unità nazionale”.
Anche se può sembrare una questione di lana caprina non lo è affatto. Il Sahara Occidentale, ex colonia spagnola, è una regione del Maghreb prevalentemente desertica ma fortemente contesa perché ricca di fosfati e di potenziali giacimenti di idrocarburi. Con il riconoscimento ONU del diritto di autodeterminazione al popolo saharawi e il ritiro degli spagnoli, si innescò dalla metà degli anni ‘70 un conflitto armato tra il Fronte Polisario, il movimento di liberazione indipendentista saharawi, e quegli Stati che anelavano al controllo della regione, in primis il Marocco ma anche la Mauritania. Fu dopo la cosiddetta “marcia verde” del novembre 1975 organizzata da re Hassan II e accompagnata da strumenti di ben altra natura, quali bombardamenti al napalm e al fosforo, che la maggior parte del territorio saharawi (così come la sua popolazione) passò sotto il controllo del Marocco. Che ancora oggi sia considerata un primo atto di illecita occupazione del Sahara Occidentale o un’epopea che segnò un passo importante nella lotta per completamento dell’integrità territoriale del Marocco, a seguito della Marcia Verde il Fronte Polisario autoproclamò il 27 febbraio 1976 quella che va sotto il nome di Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi, in esilio in territorio algerino dove trovarono rifugio anche migliaia di profughi e combattenti dell’ex Sahara occidentale. È da quella posizione che iniziò una lunga e cruenta guerra tra Marocco e il Fronte Polisario, rappresentante politico e braccio armato del popolo saharawi, che si arrestò solo col cessate il fuoco del 1991 e l’intervento di mediazione dell’ONU. Il rafforzamento del processo di pace passò attraverso lo stanziamento dei caschi blu della missione Minurso, incaricata di vigilare sul rispetto del cessate il fuoco e sulla ripresa dei negoziati diretti per dare un futuro al Saharawi Occidentale.
Fino ad oggi i colloqui di pace non sono riusciti a trovare una soluzione stabile. Se questo ultimo incontro doveva rappresentare un nuovo rilancio della questione saharawi, gli effetti sono stati ben peggiori di ogni più pessimista previsione. Ban Ki-moon non ha prestato sufficientemente attenzione alla terminologia diplomatica in uso alle Nazioni Unite in materia, che ha sempre parlato di “Sahara marocchino”, proprio per tentare di mediare tra le posizioni del governo di Rabat e quelle del Fronte Polisario. L’accusa al Segretario Generale, a pochi mesi dalla scadenza del suo mandato, di aver abbandonato la neutralità e l’imparzialità dell’ONU si accompagna a una serie di polemiche rilevazioni nei confronti del governo algerino che il Marocco non manca di lanciare. Diversamente infatti dalle agevolazioni economiche e sociali introdotte da Rabat nel territorio di Laayoune, in piena zona saharawi, per favorire l’integrazione della popolazione e assicurarsi il favore del controllo marocchino nella regione, l’Algeria, che da decenni ospita i campi dei rifugiati nella regione di Tindouf nel sud-ovest del Paese, è accusata di non aver fatto mai nulla per migliorare le condizioni di vita della popolazione saharawi, ma piuttosto di sfruttare e strumentalizzare le loro miserevoli condizioni a fini politici ed economici. La posizione del Marocco è rafforzata dalle notizie recentemente emerse su un’indagine compiuta dall’Ufficio Antifrode della Commissione Europea nel 2004 sullo scandaloso dirottamento degli aiuti umanitari internazionali destinati ai profughi saharawi che vivono nei campi in Algeria: se i numeri stimati da Algeri e Fronte Polisario contavano a 150mila persone i 90mila profughi effettivi, è ancora più scandalosa la scoperta che gli alimenti donati venivano immediatamente “deviati” e inviati per essere venduti nei mercati di Algeria e Mauritania; agli sfollati saharawi non rimanevano che gli scarti.
La contestazione del Marocco a quello che ritiene uno “Stato fantasma, senza i requisiti minimi, senza territorio, né popolazione, né bandiera riconosciuta” passa anche per la richiesta all’ONU di effettuare un censimento aggiornato della popolazione saharawi. Richiesta che appare del tutto legittima, a distanza di 40 anni dall’allontanamento dei colonizzatori spagnoli e dall’inizio del controllo marocchino del Sahara Occidentale, e dinanzi a più di una generazione cresciuta nei campi profughi o in territorio marocchino. Ad oggi la situazione appare di non facile soluzione nella scelta tra assecondare lo status quo, riconoscendo in pieno la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale, o riconfermare il diritto all’autodeterminazione della popolazione saharawi e garantire ad essa territorio e sovranità. Stando a non facili presagi, se la fine della guerra fredda ha consentito la cessazione delle ostilità militari, probabilmente sarà l’incredibile sviluppo che sta vivendo il Marocco a mettere la parola fine a una delle più lunghe contese territoriali del continente africano. Negli ultimi anni, degli 84 Stati membri dell’ONU che hanno riconosciuto la Repubblica del Saharawi in 37 hanno “congelato” o ritirato tale riconoscimento. Solo recentemente, l’apertura del primo negozio Ikea a Casablanca è stata rimandata di alcuni mesi dopo che il parlamento svedese aveva espresso un riconoscimento per la causa saharawi del Fronte Polisario determinando una ovvia crisi nelle relazioni politiche (e commerciali) col Marocco: con la sconfessione di tale riconoscimento è giunta l’autorizzazione definitiva all’apertura, dunque che lo shopping abbia inizio!
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.