Argentina: popolazione Qom “Basta violenze, restituiteci le terre!”

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Lo scorso 23 febbraio una delegazione delle popolazioni originarie della comunità Alhua Navogoh (La Primavera) della provincia argentina di Formosa, ha marciato per le strade di Buenos Aires fino alla Casa Rosada, per chiedere la restituzione delle terre comunitarie, il rispetto dei propri diritti e giustizia per le violenze perpetrato dal governo provinciale.

Sono passati quattro mesi da quando la polizia della provinciale di Formosa, ha represso con la forza la protesta pacifica della comunità Navogoh, composta da nativi di etnia Qom, ancestrali abitanti della zona a nord del paese del Cono Sur, vicina al confine col Paraguay. Proteste contro l'ennesimo sgombero forzato dei loro territori comunitari, questa volta per la costruzione dell'Università provinciale di Formosa. Ma è solo l'ultimo di una lunga serie, la maggior parte dei quali per fare posto alle coltivazioni di soia delle multinazionali, terre usurpate ai Qom per un totale di 5 mila ettari.

Stanchi di dover lottare tutti i giorni per la propria terra, che gli viene riconosciuta dalla legislazione internazionale (Dichiarazione ONU sui Diritti delle Popolazioni Indigene e Convenzione 169 ILO) e nazionale, e dopo aver percorso tutte le vie legali e giudiziarie senza aver avuto mai nessuna risposta, la comunità Navogoh il 25 luglio scorso ha deciso di occupare la Ruta Nacional numero 86 al km 1341 nel dipartimento di Pilcomayo. Il 23 novembre scorso, dopo mesi di indifferenza assoluta i manifestanti che si trovavano nel presidio stradale sono stati aggrediti da alcune persone appartenenti alla famiglia Celia e scortati dalla polizia provinciale, sparando colpi di pistola e e vari colpi di fucile contro Felix Diaz uno dei rappresentanti Qom. Diaz è riuscito a salvarsi rifugiandosi nelle montagne.

La repressione della comunità è stata ordinata dal commissario provinciale e la popolazione - ma anche Amnesty International - denunciano che l'uso della forza è stato abusato dato che la polizia provinciale non ha nessuna giurisdizione delle strade nazionali e sopratutto senza avere nessun ordine di sgombero. Durante la brutale repressione, sono state incendiato le loro case, bruciato i loro documenti, e sono stati fatti degli arresti sommari di circa 35 persone, “tra le quali donne anziani e bambini” - afferma Roxana Silva, avvocato della comunità. Il fatto più grave è stato l'assassinio di Roberto Lopez colpito da un proiettile della polizia, una persona semplice che difendeva i diritti della sua gente e per il quale ora si chiede giustizia.

Dopo questi fatti, il popolo Qom ha deciso in un assemblea che non rinuncerà mai alla sua terra. Davanti alla totale impunità dei responsabili delle violenze e all'assenza del governo provinciale di Gildo Isfran il 9 dicembre scorso una rappresentanza Qom ha viaggiato per oltre 1000 km fino a Buenos Aires, e ha montato un accampamento per la “resistenza” tra la Avenida de Mayo e la Avenida 9 de Julio, punto centralissimo della città. “Siamo venuti fin qui per chiedere risposte al Governo Federale” - dice Diego Poli, uno degli attivisti che incontriamo nell'accampamento. Alcuni membri della comunità hanno dovuto viaggiare fino a Buenos Aires solo per richiedere i propri documenti, quelli che sono stati bruciati durante gli incendi delle loro abitazioni di Formosa. Il 23 dicembre davanti all'indifferenza delle istituzioni, i manifestanti hanno iniziato uno sciopero della fame revocato poi il 30 dicembre, dopo un accordo con il governo che prevede sei punti: documenti di identità, accesso alla salute, al territorio, sicurezza, programmi sociali, titoli comunitari.

Fino ad oggi però gli accordi con il governo si sono rivelati delle vane promesse. Continua l'indifferenza e l'impunità e continua l'accampamento nella 9 de Julio con la solidarietà di musicisti, artisti, Madres de Plaza de Mayo e il sostegno del premio nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel. Il leader Felix Diaz assicura che non torneranno a Formosa prima che gli venga restituito ciò che chiedono: la loro terra. “Non ci aspettiamo che qualcuno abbia pietà di noi. Non abbiamo nulla da negoziare, chiediamo solo ciò che è già scritto”.

E riguardo ad alcuni suggerimenti di ricorrere alla Corte Intreramericana per i Diritti Umani Diaz ha commentato: Perchè dobbiamo rivolgerci alla Corte Interamericana se il nostro è un paese indipendente? Ha poi denunciato l'Istituto incaricato delle questioni indigene che “ non si è mai preoccupato nè si è mai avvicinato a noi, vivono a fianco dei nostri popoli, prendono alti stipendi solo per continuare ad ucciderci. Non vogliamo essere invisibili, e non vogliamo essere comprati con il denaro, non vogliamo sopravvivere, vogliamo vivere”. Queste le parole del portavoce Qom, dall'altro fronte invece, quello del Governo è ancora silenzio.

Elvira Corona
(inviata di Unimondo)

Per firmare l'appello di Amnesty International allo Stato argentino

 

 

 

 

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