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Pena di morte sotto la lente di Amnesty International
Pena di morte
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3.117 condanne a morte, 18.848 individui rinchiusi nel braccio della morte, 1.032 esecuzioni in 23 Paesi al mondo di cui l’87% avvenute in soli 4 Stati, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan: questi i principali dati estrapolati dal nuovo rapporto stilato da Amnesty International per l’anno 2016 e messi in risalto sull’infografica in primo piano sul sito web della nota organizzazione non governativa.
È in realtà la Cina lo Stato con il più alto numero di condanne a morte ed esecuzioni del resto del mondo, sebbene i suoi dati restino coperti da segreto di stato e dunque pressoché sconosciuti. Nonostante infatti l’ampia promozione data da Pechino alla pubblicazione online di un registro giudiziario che indica le condanne a morte e le esecuzioni, un atto che sembrerebbe andare nella direzione di una più ampia trasparenza dell’intero sistema statale, di fatto Amnesty International ha documentato centinaia di casi di pena di morte non riportati nella documentazione ufficiale. Anche qui il riferimento ai numeri appare fondamentale: se le autorità cinesi indicano nel registro ufficiale che tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite “solo” 85 condanne a morte, altre fonti pubbliche portano il numero ad almeno 931 casi, tra i quali inoltre non sono considerati gli stranieri (detenuti principalmente per reati di droga) e anche i condannati per reati di terrorismo. Alle esecuzioni non dichiarate si sommerebbero anche vizi procedurali che impediscono di fatto agli imputati di ottenere le attenuanti del caso o una corretta difesa legale. L’“anomalia Cina” risulta dunque il principale oggetto della relazione che Amnesty International ha affiancato alla pubblicazione della relazione annuale, con il Segretario generale della ong, Salil Shetty, che ha ufficialmente riferito alla stampa mondiale che “il governo cinese utilizza dati parziali e fa affermazioni non verificabili per rivendicare progressi nella riduzione del numero delle esecuzioni e al tempo stesso mantiene un segreto quasi totale. È un atteggiamento volutamente ingannevole”. Una segretezza sul numero delle condanne a morte e sulle esecuzioni messe in atto condivisa con i governi del Vietnam e della Malesia, i cui numeri dovrebbero risultare ben più alti di quanto si crede.
I numeri del report mettono però in luce per la prima volta una diminuzione del 37% delle esecuzioni mondiali rispetto all’anno precedente ma al contempo un incremento significativo del numero complessivo delle messe a morte: se nel 2016 queste ultime sono risultate essere 3.117 in 55 Stati, nel 2015 erano 1.998 in 61 Paesi. Il report rileva anche un aumento dei Paesi abolizionisti, nella pratica o per legge, che ad oggi risultano 142 al mondo (più dei due terzi), probabilmente a seguito della considerazione che la pena di morte non risulta affatto un efficace deterrente al compimento del reato e del rischio di errore processuale a cui è chiaramente impossibile rimediare a esecuzione avvenuta. Tuttavia nel 2016, ben 23 Stati, circa uno su otto, hanno eseguito sentenze capitali. Se il numero è diminuito significativamente rispetto a 20 anni fa (nel 1997erano 40 i Paesi), Bielorussia, Botswana, Nigeria e lo Stato Palestinese hanno ripreso la pratica delle esecuzioni lo scorso anno; invece Ciad, India, Giordania, Oman ed Emirati Arabi Uniti, che hanno messo a morte almeno una persona nel 2015, non ne hanno eseguite nel 2016.
Un altro elemento risulta di interesse: per la prima volta nell’ultimo decennio, gli Stati Uniti non compaiono nella lista dei primi 5 Paesi al mondo per numero di esecuzioni: in tutto 20 esecuzioni nel corso del 2016, a testimonianza di un trend che vede una costante diminuzione di anno in anno dal 2009, e 32 nuove condanne a morte, la cifra più bassa registrata dal 1973. Al di là di un dibattito sempre piuttosto vivace all’interno dei singoli Stati degli USA, negli ultimi anni sono state numerose le dispute legali sui protocolli di esecuzione e ancora più problematici i ricorsi collegati al reperimento delle sostanze usate per le iniezioni letali. A questo proposito, dinanzi alla difficoltà ad acquistare sostanze necessarie alle esecuzioni per iniezione letale nel prossimo futuro, anche in considerazione delle recenti indisponibilità rese per ragioni di ordine etico da molte case farmaceutiche europee, proprio in questi giorni è emerso dalle agenzie di stampa che alcuni governi statali stiano facendo incetta di farmaci di prossima scadenza per reindirizzarli verso le camere della morte. Ad esempio in Arkansas tale azione ben si accorda al fitto programma di esecuzioni previsto alla fine di aprile che ha aperto la strada a una ampia serie di ricorsi, di riesami e di attese dell’intervento dei tribunali. Pur non essendo uno Stato abolizionista, l’Arkansas non ricorre alla pena capitale dal 2005 ma aveva fissato 8 esecuzioni nel giro di 10 giorni: tuttavia già lo scorso 20 aprile due di esse erano state bloccate da un giudice federale, in parte accogliendo la richiesta di revisione delle prove di un condannato sulla base dei più moderni test del DNA e in parte dando ragione alla casa farmaceutica McKesson produttrice del farmaco che sarebbe stato utilizzato per le esecuzioni che ha accusato lo Stato di averlo ingannato riguardo l’utilizzo, non medico, che intendeva fare della sostanza. Sentenza poi completamente rovesciata dalla Corte suprema dell’Arkansas che ha eseguito la condanna a morte di Ledell Lee lo stesso 20 aprile. La situazione, anche dal punto di vista giudiziario, appare ben complessa da sbrigliare e probabilmente determinerà fino all’ultimo una serie di sospensioni, rinvii e “colpi di scena” anche per le altre esecuzioni in programma.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.