Libano, le parole per dirlo

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Foto: Elpais.com

di Emanuele Giordana

Il quotidiano spagnolo El Pais, di cui riproduciamo la prima pagina di oggi, è forse l’unico a chiamare col suo nome ciò che, rispetto a quanto avviene in Libano, viene altrove definito “incursione”, “operazione di terra”, “attacco mirato”. La parola “invasione” su molte altre testate  non c’è, eppure sarebbe la parola giusta se l’abbiamo correttamente usata quando Putin ha attraversato la frontiera ucraina. Non si tratta qui di cercare il pelo nell’uovo e sostenere, come in molti faranno, che un’operazione mirata che cerca soltanto di attaccare obiettivi precisi (le infrastrutture di Hezbollah) non sia un’invasione. Come se si potesse trovare una scusa determinando una quantità: tot soldati è un’invasione, tot altri è un’incursione. Ma un’incursione è ben altra cosa: si misura in termini di tempo, in mordi e fuggi. Quando un esercito attraversa un confine e lo fa in presenza di una cornice di bombardamenti aerei, siamo di fronte a un’invasione. Chiamarla “operazione di terra”, “incursione”, “attacco mirato”, serve solo a confondere. In questo caso si, le parole diventano proiettili.

La guerra di Gaza, anzi la sua invasione, e adesso quel che avviene in Libano, dimostrano la nostra incapacità di definire la guerra, nascondendo questa parola orribile e i suoi addentellati, dietro un muro di altri termini: più soffici, meno evidenti, diversi da ciò che è. E’ il trionfo dell’ipocrisia. Un’ipocrisia che consente a Israele di fare ciò che sta facendo...

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