Femminicidi, finalmente una buona notizia

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Sono 22 le donne uccise, nel 90% dei casi per mano del partner o ex partner, dall’inizio dell’anno a oggi. Un numero certamente importante, ma meno della metà dello stesso periodo del 2016. È questo un primo, timido segnale di una possibile inversione di tendenza per un problema che resta drammatico: 138 donne assassinate in Italia nel 2013, 110 nel 2014, 116 nel 2015 e ancora 110 nel 2016. E anche se i primi 5 mesi del 2017 segnalano un calo dei delitti, le donne continuano a essere indifese di fronte alla furia cieca dei loro partner o ex partner. 

«Parliamo comunque di una donna uccisa ogni 6 giorni, contro i 3 giorni di media dell’anno scorso», fa notare l’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente dell’associazione SOS Stalking, che ha diffuso i dati. «Ovviamente è doverosa la massima cautela ed è presto per parlare di un dimezzamento, tuttavia un anno esatto fa le vittime erano già 46 contro le 22 di oggi». Fra le regioni con più omicidi, i numeri vedono al primo posto la Lombardia, il Lazio e la Campania con tre femminicidi per regione, seguono Veneto, Liguria, Sardegna e Sicilia con due omicidi per ciascuna e infine Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Calabria con un delitto per ognuna.

Non vanno poi dimenticate le cosiddette "vittime secondarie" del femminicidio, ovvero i figli che, in seguito al crimine si ritrovano orfani della madre, talvolta di entrambi i genitori nei casi in cui all’omicidio segua il suicidio. Nel 2015 118 bambini sono rimasti orfani, 84 si sono aggiunti nel 2016. «Lo scorso febbraio la Camera ha approvato con voto unanime una legge che, almeno in parte, tutela queste vittime», continua Puglisi, «e che prevede che le spese processuali siano a carico dello Stato. Dispone inoltre la reversibilità della pensione del genitore ucciso ed estende il Fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti anche agli orfani di crimini domestici, con una apposita dotazione aggiuntiva di 2 milioni di euro all’anno per borse di studio e reinserimento lavorativo».

Ai figli delle vittime è assicurata inoltre assistenza medico-psicologica gratuita fino al pieno recupero psicologico ed è attribuita la quota di riserva prevista per l’assunzione di categorie protette. Se il cognome è quello del genitore condannato in via definitiva, il figlio può chiedere di cambiarlo. La condanna e il patteggiamento comportano automaticamente anche l’indegnità a succedere.

Gabriella Meroni da Vita.it

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