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Unimondo verso la sua “maturità”
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Il 10 dicembre è la giornata mondiale per i diritti umani. E anche il compleanno di Unimondo. Stiamo piano piano arrivando alla maturità: sono infatti sedici anni che abbiamo cominciato questo progetto di informazione e di approfondimento online dei temi legati alla pace, alla salvaguardia dell’ambiente, allo sviluppo umano, alla cooperazione internazionale e alla promozione della democrazia. Questi vari ambiti possono essere riassunti proprio nella categoria dei diritti umani. Non è un caso allora che proprio oggi sia il nostro compleanno.
La nostra area di azione è quella della comunicazione. Evidenziare fatti, dare notizie, offrire punti di vista diversi – sempre partendo dalla centralità della dignità umana – significa per noi lavorare in quella che riteniamo essere la giusta direzione, vale a dire quella di un progressivo e pacifico incontro tra gli uomini.
Quella della tutela dei diritti umani è una delle conquiste più importanti per il mondo contemporaneo. L’idea sottesa a questo concetto è semplice quanto rivoluzionaria, se concretamente realizzata: gli uomini sono tutti uguali. Questo è il dato “biologico”, altro che la fasulla e tragica dottrina dell’esistenza di razze inferiori e superiori, di esseri umani i cui capricci, lussi o esigenze risultano più meritevoli di attuazioni rispetto al resto dell’umanità. Questo è il dato “ontologico”, cioè relativo all’essenza stessa della natura umana, il nucleo che ci accomuna, a prescindere da qualsiasi orizzonte storico, culturale, sociale. In altre parole il possesso di diritti umani non deriva da determinate circostanze – che cambiano in continuazione – ma sono innati e auto evidenti a se stessi, sono un “dato” già presente nella coscienza e che, al limite, va scoperto e concretizzato nella storia.
La categoria di “diritti umani”, giunta a compimento in un contesto giuridico europeo ma approdo di una storia multiforme che non si limita all’Occidente, trova singolari affinità con le riflessioni di molte altre civiltà diventando un patrimonio dell’umanità intera. Non importa il tipo di regime politico, la storia o la religione del Paese in questione perché il desiderio di uguaglianza e la voglia di realizzare se stessi come persone libere all’interno di una comunità restano fortissimi e ineliminabili. Anche quando i diritti umani vengono calpestati, essi resistono come monito indistruttibile: il grido delle vittime può essere soffocato per lungo tempo, ma alla fine verrà udito da qualcuno. In questo sta l’indubbio progresso realizzato, all’interno di un percorso di crescente affermazione e consapevolezza della comunità mondiale.
Questo discorso però rischia di essere troppo astratto. Ci sono almeno tre punti su cui riflettere.
I diritti umani nascono su carta e sono stati formulati per essere promossi all’interno di uno Stato democratico e probabilmente soltanto dentro di esso possono essere veramente tutelati. Sappiamo che così non è, neppure in una democrazia. Sappiamo ulteriormente che pure la lotta per la difesa e per la promozione dei diritti umani può nascondere interessi di parte, logiche che non hanno nulla da spartire con la solidarietà o la giustizia. È accaduto che diventino pretesti per sostenere gli interessi occidentali. A volte accade però l’inverso: i regimi autoritari si fanno scudo di questa presunta ingerenza imperialista per comportarsi senza regole interne o esterne, per puntellare il proprio potere con la scusa di avere concezioni della vita diverse dagli altri popoli. Anche il concetto di diritti umani va quindi sempre per così dire purificato da incrostazioni varie e va liberato da chi se ne vuole semplicemente impossessare.
In secondo luogo l’universalismo e l’oggettività dei principali diritti umani - alla vita, alla libertà di pensiero e di parola, alla non discriminazione, alla proibizione della schiavitù e alla tortura, a una giustizia che rispetti l’individualità (habeas corpus), e così via – non possono essere calati dall’alto, ma vanno incarnati nelle diverse culture. Che li declineranno in modi diversi da quelli percepiti in Occidente. La fatica e i possibili dissidi stanno tutti nella diversità di interpretazioni e in questa concretizzazione, nello stabilire limiti e possibilità. Il laicismo più spinto, per esempio, vede nei segni religiosi o semplicemente culturali – la croce nelle aule scolastiche o il velo islamico – elementi di disturbo, quando, a ben vedere, essi possono essere dettati da scelte individuali o da consuetudini collettive che però non impediscono che altri si comportino in altro modo.
Infine la tutela dei diritti umani non può essere soltanto proclamata, ma deve essere tradotta in un contesto giuridico più o meno vincolante. Come avviene per altri concetti, come quello di genocidio, si apre un altro versante vastissimo, quello dei diversi ordinamenti normativi e legislativi. Per esempio: l’Italia, Paese democratico, culla di grandi civiltà, non ha ancora nel Codice penale il reato di tortura, nonostante abbia da tempo ratificato a livello regionale (europeo) e internazionale (ONU) trattati che proibiscono tale pratica. Dunque l’Italia non tutela un fondamentale diritto umano, quello di non avere, neppure in carcere, un trattamento disumano e degradante la dignità della persona.
Quando poi parliamo di diritto internazionale, le cose forse si complicano ancora con i giochi politici che si sovrappongono alla sincera volontà di migliorare la vita degli uomini.
Queste riflessioni giungono a una conclusione: tutti, dal livello individuale a quello delle Nazioni Unite, dobbiamo lavorare in favore dei diritti umani. Altrimenti l’intreccio di queste problematiche (politiche, culturali, giuridiche) finisce per trasformarsi in un groviglio inestricabile capace di minare l’intera costruzione di questi diritti inalienabili.
Unimondo cercherà anche per il prossimo anno di fare la sua parte. Sempre con il suo stile caratterizzato da un approccio interdipendente: sappiamo che il mondo è interconnesso, noi vogliamo essere così aprendoci ad altri partner che hanno la nostra stessa ispirazione. Dando notizie che riflettano la possibilità di un’altra globalizzazione, quella della solidarietà.