Il diritto alla vita. Niente di più difficile da interpretare

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È giunta dinanzi al Parlamento Europeo una seconda proposta di iniziativa dei cittadini europei promossa dai movimenti Pro Life e volta a proibire i finanziamenti dell’UE alle attività che comportano la distruzione di embrioni umani.

Vi invito a una sfida, purtroppo senza alcun premio in palio. Provate a chiedere ai vostri amici, al partner, ai familiari o ai colleghi di lavoro di dirvi il primo dei diritti umani che viene loro in mente. La maggior parte degli interrogati risponderà probabilmente: il diritto alla vita. “Bella scoperta!”, qualche lettore potrebbe ribattere, evidenziando la centralità lapalissiana del diritto alla vita come primario e preliminare al godimento di tutti gli altri diritti e libertà fondamentali che attengono a specifici aspetti dell’esistenza di un essere umano. Tanto scontata la risposta quanto di difficile intendimento la sua declinazione: non esiste infatti un’unica e incontestata interpretazione del diritto alla vita, non solo tra Stato e Stato, ma anche all’interno dello stesso tra normativa e sentire delle diverse anime della società civile. L’inizio e la conclusione della vita, in particolare, con la possibilità dell’uomo di influire sui processi naturali, hanno da sempre suscitato un fervente dibattito legato a questioni di etica, morale e religione. Aborto e eutanasia, ma anche fecondazione assistita e uso delle cellule staminali a fini scientifici o terapeutici: il diritto alla vita chiama in causa tutti questi aspetti.

Non sorprende dunque che la seconda proposta legislativa di Iniziativa dei Cittadini Europei presentata al Parlamento Europeo a seguito dell’introduzione del meccanismo con il Trattato di Lisbona, dopo la richiesta di indicare l’acqua quale bene umano fondamentale, riguardi la proibizione dei finanziamenti UE alle attività che includono la distruzione degli embrioni umani, in particolare nell’area della ricerca, dello sviluppo e della salute pubblica. 1 milione e 700mila firme in 18 Stati dell’Unione per sostenere il disegno di legge grazie al lancio della campagna “One of Us” (ossia “Uno di noi”). Il nome e il logo della campagna scelta risultano piuttosto suggestivi: in 6 immagini stilizzate le cellule si trasformano in embrione, poi in feto, in neonato, in bambino, e in adulto. Non da meno è lo slogan che fa da padrone nella prima pagina del sito web dedicato alla campagna: “L’Europa di domani è nelle vostre mani. Siate degni di questo compito”, un incentivo alla responsabilizzazione di questa generazione incaricata di delineare con le proprie scelte il futuro dell’UE. L’obiettivo della norma è chiaro: far progredire notevolmente in Europa la protezione della vita umana sin dal concepimento (entro i limiti della competenza dell’UE), quindi individuando l’embrione umano come l’inizio dello sviluppo dell’essere umano. Un obiettivo che i movimenti “Pro Life” d’Europa vogliono raggiungere per mezzo dell’iniziativa da loro promossa. Come scrivono nel sito, “La lotta per il rispetto del diritto alla vita dovrà sempre continuare, perché gli attacchi contro il diritto alla vita continueranno sempre. L’iniziativa, in caso di successo, potrebbe essere un punto di partenza di una nuova mobilitazione del livello europeo dei movimenti pro life”.

Frasi che dipingono una scenario di continua lotta che i difensori della protezione di ogni anelito di vita fin dai gameti debbono intraprendere contro i promotori di una visione bioetica aperta all’aborto, all’eutanasia, alla sperimentazione su cellule staminali sulla base di altrettante ragioni di ordine morale e umano, se non di etica. Entrambi i gruppi interpretano il diritto alla vita secondo la propria visione; un diritto fondamentale che di certo non costituisce una prerogativa dei cosiddetti “Pro Life”.

Proprio lo scontro interpretativo dato dall’attuazione di tale diritto indusse gli organismi internazionali fin dalle prime solenni proclamazione del secondo dopoguerra a una sua ricezione, priva però di definizioni temporali atte a sancire l’inizio e la fine della vita; queste venivano derogate agli organi nazionali in base alla sensibilità espressa da ciascuna classe politica e società civile. Così “Ogni individuo ha diritto alla vita” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU, 1948); “Il diritto alla vita è inerente alla persona umana” (Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici dell’ONU, 1966); “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge” (Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa, 1950); “Ogni persona ha diritto alla vita” (Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea dell’UE, 2010), citando alcune delle principali convenzioni e dichiarazioni internazionali in materia di diritti umani. È delegato dunque allo Stato e ai suoi cittadini il potere di interpretare fattivamente quali forme attribuire al diritto alla vita. La scelta italiana è stata quella di non includere il diritto alla vita esplicitamente nella Costituzione, ricomprendendolo nei “diritti inviolabili dell’uomo” dell’articolo 2, prevedendo una legislazione inizialmente molto chiusa in materia e poi più aperta dinanzi alle violazioni che l’avvio o il mantenimento della vita a tutti i costi comportavano.

Ora la legislazione dell’Unione Europea è posta dinanzi allo stesso bivio: lasciare ai singoli Paesi membri decidere in merito all’attuazione del diritto alla vita in osservanza alla normativa internazionale già in vigore o dare un’indicazione di massima, con la scelta di non finanziare una ricerca che fa uso anche di embrioni. È vero, l’Europa di domani è nelle mani dell’Assemblea Europea che deve assumere una decisione dinanzi ai 507 milioni di suoi cittadini: non solo dei quasi 2 milioni di firmatari dell’Iniziativa.

Miriam Rossi

Questa pubblicazione è stata riprodotta con il contributo dell'Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Unimondo.org e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vedi la pagina del progetto  BeEU - 8 Media outlets for 1 Parliament 

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