La gold standard science di Trump è un’ulteriore minaccia per la ricerca

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Immagine: Unsplash.com

Sin dai primi giorni del suo insediamento, l’amministrazione Trump ha preso diverse decisioni politiche che hanno avuto pesanti ripercussioni sulla ricerca scientifica, in particolare andando a colpire le agenzie federali e gli atenei.  Due ulteriori ordini esecutivi, varati a maggio e all’inizio di agosto, minacciano di aggravare ulteriormente il quadro, stravolgendo il modello di politica scientifica che ha guidato la ricerca negli Stati Uniti dal dopoguerra in poi. Questi provvedimenti si fondano sull’idea che la scienza americana attuale abbia perso di credibilità e che la nazione debba tornare a condurre ricerca di alta qualità, definita come gold standard science, per non perdere il suo ruolo di guida nella produzione di conoscenza a livello mondiale.

L’ordine esecutivo "Restoring gold standard science"

A fine maggio, il governo americano ha emanato un ordine esecutivo volto a riorganizzare il modo in cui le conoscenze scientifiche verranno prodotte, utilizzate e comunicate da parte delle agenzie federali. Nel linguaggio, il documento si riferisce esplicitamente ad aspetti di integrità della scienza ben noti ai ricercatori e definisce la gold standard science come: riproducibile, trasparente, in grado di comunicare l’errore e l’incertezza, collaborativa e interdisciplinare, critica nei confronti dei propri risultati e delle proprie assunzioni, strutturata in modo da consentire la falsificabilità delle ipotesi, soggetta a revisione paritaria imparziale, in grado di valorizzare anche i risultati negativi, e priva di conflitti di interesse. Difficilmente si potrebbe dissentire da tale visione.

Nella realtà, però, il provvedimento suggerisce che tutti questi criteri debbano essere contemporaneamente soddisfatti affinché i risultati di una ricerca possano essere considerati validi e utilizzabili per informare decisioni politiche. Così facendo, il rischio è che, invece di usare le migliori prove a disposizione, molte conoscenze scientifiche vengano escluse dal processo decisionale. Inoltre, l’ordine esecutivo conferisce a un incaricato politico l’autorità di decidere quali studi debbano essere considerati rilevanti. Questa figura potrà arbitrariamente stabilire che i risultati non in linea con la posizione ufficiale del governo sono viziati da scientific misconduct, decidere di ignorarli, ed eventualmente intraprendere azioni disciplinari nei confronti di chi li ha prodotti. Oppure, semplicemente, pretendere un grado di certezza dei risultati impossibile da raggiungere in un particolare ambito prima di includerli nei processi regolatori. O, ancora, decidere di ignorare tutti gli studi nei quali gli autori non hanno reso pubblici i dati originari (cosa che spesso è frequente negli studi epidemiologici, per motivi di privacy).

Come ha sottolineato David Michaels, che da anni si occupa di problemi di integrità della scienza, in particolare nell’ambito regolatorio americano, questo approccio nella gestione dei risultati della ricerca ricorda molto le strategie di “generazione del dubbio”, largamente utilizzate dalle industrie produttrici di prodotti nocivi per la salute per rallentare l’introduzione di regolamentazioni a protezione dei cittadini. Il fatto che, in questo caso, il responsabile di tali pratiche non sia un gruppo di multinazionali, ma l’intero governo americano, porta però il problema su un altro livello.

Se tutto questo non bastasse, l’ordine esecutivo cancella, con efficacia immediata, tutte le iniziative che erano state messe in campo dall’amministrazione Biden per preservare l’integrità della ricerca in ambito federale. Tra queste, in particolare, c’erano dei sistemi che permettevano ai dipendenti di denunciare indebite pressioni politiche nei processi decisionali e appellarsi contro le decisioni dei propri superiori. Infine, viene richiesto che tutti i regolamenti, le decisioni e le valutazioni scientifiche prodotti dalle agenzie federali durante gli ultimi cinque anni vengano rivalutati alla luce della nuova normativa ed eventualmente cancellati.

L'ordine esecutivo "Improving oversight of federal grantmaking"

Il 7 agosto è stato emanato un altro ordine esecutivo, che mira a riorganizzare il sistema dei finanziamenti erogati dalle agenzie federali, in particolare per le attività di ricerca. Le principali novità contenute nel documento sono: 

  • Tutto il processo di finanziamento (dalla scelta di quali filoni promuovere fino alla selezione dei progetti da premiare) avviene sotto la supervisione di un incaricato politico, che è incoraggiato a usare il proprio «giudizio indipendente» per «promuovere l’agenda politica presidenziale». La peer-review dei progetti da parte di esperti del settore è ancora consentita, ma ha un ruolo unicamente consultivo.  
  • È vietato finanziare bandi o progetti che promuovono «valori anti-americani» o comunque invisi al governo, tra cui la promozione di tematiche di genere o sulla diversità etnica. 
  • Nel processo di valutazione dei progetti, il ruolo attribuito al prestigio degli istituti proponenti viene ridimensionato (dichiarando di voler «democratizzare» l’attribuzione dei fondi, coinvolgendo una platea più ampia), a favore di una loro documentata adesione ai principi della gold standard science presidenziale, e della richiesta di costi indiretti bassi (una battaglia che il governo porta avanti da tempo, e di cui Scienza in rete ha parlato qui). 
  • Le agenzie federali dovranno al più presto dotarsi di regole che permettano l’interruzione immediata dei fondi assegnati a progetti (inclusi quelli già approvati) che dovessero, a detta dell’incaricato politico, non essere più allineati con gli obbiettivi del governo. Questo, ovviamente, ha delle ricadute importanti sulla stabilità dei finanziamenti, e scoraggia programmi di lunga durata. 
  • In ogni agenzia, l’incaricato politico dovrà preparare delle procedure per assicurare che tutto il sistema dei finanziamenti sia allineato con quanto indicato nell’ordine esecutivo. Fino ad allora, tutte le nuove assegnazioni di fondi sono interrotte. Per legge, tutti i fondi federali che non vengono spesi entro il 30 settembre devono essere restituiti al Dipartimento del Tesoro. Questa clausola, quindi, sembra essere una scappatoia per permettere al governo di ridurre i finanziamenti alla ricerca rispetto a quanto precedentemente deliberato dal Congresso, una mossa che Trump ha tentato ripetutamente di fare nei mesi precedenti, ma che è stata giudicata illegale.
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