L'Europa scommette forte sull'economia sociale. E l'Italia?

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Foto: Unsplash.com

Il piano di azione per l’economia sociale appena approvato dalla Commissione europea segna una svolta. Timidezze e incertezze del passato sembrano alle spalle. All’economia sociale viene finalmente riconosciuto il potenziale di rimodellare lo sviluppo economico secondo principi di sostenibilità ambientale e sociale, stimolando la trasformazione di cui si avverte sempre più il bisogno. Non è poco, per un settore che fino a un decennio da era praticamente ignorato dalle politiche europee, orientate massicciamente verso la rimozione di ogni ostacolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato.

Due le novità principali del piano, riguardo rispettivamente ai principi e agli strumenti. Sul versante delle definizioni si prende atto del grande pluralismo di forme giuridiche e organizzative che caratterizza i diversi paesi europei, ma non per questo si rinuncia a tracciare un chiaro perimetro definito in base a criteri che non lasciano spazio a fumose ibridazioni. Appartengono alla definizione di economia sociale cinque categorie di enti: cooperative, mutue, associazioni (incluse tutte le organizzazioni non profit), fondazioni e imprese sociali. Per quanto in ogni paese, in relazione al contesto nazionale, le forme giuridiche possano differenziarsi, queste cinque forme hanno in comune il fatto che si tratta di entità private, indipendenti dai poteri pubblici, in cui l’interesse delle persone e le finalità sociali o ambientali prevalgono sulla ricerca del profitto, vincolate a reinvestire la maggior parte dei propri utili in attività di interesse collettivo o generale, e gestite secondo criteri democratici o comunque partecipativi. Quello che emerge è un identikit preciso, in grado di rimuovere l’alibi di quanti finora lamentavano che l’economia sociale fosse un concetto inafferrabile e quindi intrattabile da parte delle politiche pubbliche.

La Commissione aggira pragmaticamente l’ostacolo definitorio riconoscendo che l’economia sociale è già una realtà, non una promessa rivolta al futuro. Oltretutto consistente, ben radicata nel panorama europeo e attiva con successo in moltissimi ambiti, tutti cruciali per rispondere ai futuri obiettivi di sviluppo sostenibile. Una realtà che assolve ad una funzione fondamentale tanto per la coesione sociale quanto per la crescita economica e, specialmente, occupazionale. Quindi ben altro rispetto ad una visione rimasta ancorata alle charities vecchia maniera, con cui in ancora troppi ambienti non poche organizzazioni dell’economia sociale continuano ad essere confuse per pigrizia mentale. Anzi, l’inserimento dell’economia sociale come ecosistema autonomo sancisce definitivamente il riconoscimento di questo settore come una componente essenziale anche delle politiche industriali (e non solo sociali) della Commissione.

Ma – questo è il secondo punto su cui il documento apre un nuovo scenario – l’economia sociale potrebbe fare molto di più se solo fosse maggiormente conosciuta e sostenuta. Il suo ruolo è ancora ignoto a troppi, anche (e questo è più grave) tra i decisori pubblici che, dovendo misurarsi con problemi come l’affievolimento della coesione sociale, la gestione della transizione ecologica o la rigenerazione di posti di lavoro dignitosi, avrebbero tutto l’interesse a mettere al frutto il potenziale inespresso dell’economia sociale...

L'articolo di Gianluca Salvatori segue su Vita.it

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