Iraq: dalle elezioni un governo di 'unità nazionale'

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Gli sciiti hanno vinto le elezioni irachene dello scorso 30 gennaio che più osservatori non hanno mai esitato a definire una farsa in quanto tra gli altri aspetti non ha votato neanche il 60% della popolazione. La lista sciita, che fa capo all'Ayatollah Ali al Sistani, ha avuto quasi il 48% degli 8 milioni e mezzo di voti (59 per cento degli aventi diritto). Buona l'affermazione dei Curdi , con il 25,7% dei voti, mentre la lista del primo ministro ad interim Iyad Allawi, sciita laico, ha ottenuto il 13,8% e quella del presidente ad interim Ghazi al Yawar, un sunnita, l'1,7%. A tutti gli altri è andato il 10,8. Ci sono ora tre giorni di tempo per i reclami elettorali e i risultati potrebbero in qualche misura cambiare ma le ipotesi di chi chiedeva o immaginava una marcia veloce, sicura e trionfante verso un futuro stato iracheno fondato sulla 'sharia', la legge islamica che trasfonde le convinzioni religiose direttamente sul piano dell'ordinamenti civico e sociale, possono essere per il momento messe per lo meno in dubbio.

In base alle preferenze assumono un ruolo non di poco conto i curdi del nord, ricchi di petrolio e specialmente amici degli Stati Uniti. Secondo il Prof. Charles Tripp, studioso di Iraq presso la London's School di studi africani e orientali, in un intervista a Reuters ha detto "La cosa rassicurante per alcuni è che la cosiddetta lista Sistani non ha avuto la maggioranza assoluta che ci si attendeva", e ha aggiunto "L'elemento-chiave sarà quali coalizioni saranno messe insieme su ogni questione. Potrebbe essere un bene che non sia un solo gruppo a dominare, ma ciò potrebbe anche ritardare le decisioni su questioni importanti come il federalismo, la legge islamica e il ritiro degli Usa". Dal giornalista kurdo iracheno arriva invece Shorsh Surme la constatazione che "i Curdi per la prima volta nella loro triste storia hanno potuto votare in Iraq ottenendo quasi 26% dei voti: questa vittoria curda viene dedicata a tutti quei martiri di Halbja e a quei 183.000 dispersi con l'operazione Al-Anfal".

Nei giorni scorsi Allawi ha tentato di giocare le sue carte per costruire un'alleanza con i kurdi, ma per il momento senza risultati. I kurdi del resto avevano già intuito di poter diventare l'ago della bilancia e preferiscono per ora non assumere posizioni a favore o contro nessuna delle liste. Ma la recente dichiarazione di Jalal Talabani di volersi candidare alla presidenza del paese, indica quale sarà la contropartita per una eventuale alleanza. Un elemento di novità però potrebbe venire dalla norma 17 della legge elettorale, che secondo alcuni prevede che dall'Assemblea dovrebbe venir escluso chi ha ottenuto meno di 30.750 voti. Se così fosse, lel iste maggiori si spartirebbero i voti di quelle che non hanno ottenuto il quorum. La ripartizione effettiva dei seggi viene infatti effettuata sulla base di un calcolo di divisione del numero totale dei voti ottenuti dalle dodici liste che hanno superato la soglia di sbarramento per il numero dei seggi in parlamento. Gli sciiti potrebbero quindi ottenere 140 seggi, e il controllo del futuro Parlamento.

Secondo l'opinione di Pietro Mariano Benni si apre la porta a un ipotesi di nuovo governo che di potrebbe definire di "unità nazionale" in cui dovrebbe trovar posto anche una rappresentanza di quella grande formazione-ombra che sono i sunniti non-votanti. "Ma è proprio di fronte a questa strada in pratica obbligata che i risultati elettorali svelano anche la loro problematicità nascosta. Per costituire un nuovo governo, quello che dovrebbe gestire il Paese mentre viene messa a punto la nuova Costituzione, in base alle norme vigenti, il primo ministro deve essere scelto da un presidente e due vice che devono ottenere a loro volta i 2/3 del voto dell'Assemblea appena eletta. E' evidente che, nonostante i loro presumibili 140 seggi, gli sciiti di al-Sistani non sono in grado di procedere da soli e devono disporsi a un negoziato in cui verranno certamente poste limitazioni all'introduzione della 'sharia' e altre condizioni di redistribuzione del potere politico e, in particolare dai curdi, anche economico.

Per la maggioranza dei commentatori politici arabi gli iracheni hanno votato per sbarazzarsi dell' occupante straniero. Il compito dell' Assemblea non sarà dei più facili: redigere, entro agosto, una nuova costituzione da sottoporre a referendum popolare in ottobre.

E a fine anno nuove elezioni, per un governo non più provvisorio. Sciiti, sunniti, kurdi, ex baatisti, sapranno trovare un accordo capace di evitare nuove tragedie? Ma "non vi potrà essere nessuna discussione, né si giungerà a ristabilire l' ordine - é il giudizio di un docente di diritto dell' università La Manouba, di Tunisi - senza la prospettiva di un pronto ritiro americano. Le promesse hanno fatto il loro tempo".

Altre fonti: Osservatorio sulla legalità, Osservatorio Iraq

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