Darfur: nuova risoluzione Onu e rapporto di Amnesty

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La nuova risoluzione (la risoluzione 1564 che fa seguito alla risoluzione 1556 dello scorso luglio) del Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha sortito come primo effetto l'abbandono da parte del governo sudanese del tavolo di colloqui di Abuja (Nigeria) dove il presidente nigeriano Obasanjo cercava di mediare tra il governo di Khartoum ed i rappresentanti dei movimenti che si sono sollevati in armi (lo Sla/m e il Jem). Il ministro dell'Agricoltura Majzoub al-Khalifa Ahmad ha addossato le responsabilità del fallimento alle ingerenze di una forza "straniera", un chiaro riferimento agli Stati Uniti e alle dichiarazioni di Colin Powell che aveva espressamente parlato di "genocidio" in Darfur, mentre il presidente al-Bashir dichiarava che il Sudan "non teme nè le Nazioni Unite nè le sue risoluzioni" - riporta l'agenzia Warnews.

Approvata dopo estenuanti discussioni, la nuova risoluzione minaccia sanzioni contro l'industria petrolifera sudanese se Khartoum non interverrà per metter fine ai massacri nella tormentata regione nord-occidentale. Il documento riconosce i passi avanti compiuti dal regime di Khartoum nel consentire un necessario intervento delle organizzazioni umanitarie, ma condanna duramente l'inerzia del governo a porre fine ai massacri perpetrati dalle milizie Janjaweed. La risoluzione, inoltre, riconosce l'autorità dell'Unione Africana (UA) di intermediazione nel conflitto e fa appello ai paesi membri a sostenerla nella sua attività di monitoraggio e peace-enforcing. Invita inoltre la comunità internazionale a contribuire maggiormente all'assistenza umanitaria, accogliendo le accorate richieste di organizzazioni istituzionali e non-governative. La minaccia di sanzioni contro l'industria petrolifera sudanese ha sollevato le proteste e della Cina, uno dei maggiori importatori del petrolio sudanese, che con Russia, Algeria e Pakistan ha deciso di astenersi dalla votazione.

Una nota della Comunità di Sant'Egidio invita le parti a riprendere appena possibile i colloqui. "La Comunità di Sant'Egidio - avendo partecipato in qualità di osservatore ai colloqui di Addis Ababa e di Abuja - si augura che tale sospensione non pregiudichi il prosieguo dei colloqui e sottolinea come la via negoziale sia l'unica in grado di portare ad una pace giusta per la regione". Il comunicato sottolinea che "durante la prima sessione negoziale sono stati fatti alcuni passi avanti per permettere il libero accesso da parte delle agenzie umanitarie a tutto il Darfur", un evento di particolare importanza per il miglioramento delle condizioni di vita dei profughi.

E proprio ieri Amnesty International ha reso noto le conclusioni della visita in Sudan. Il Rapporto conferma le precedenti denunce dell'organizzazione circa i "villaggi attaccati dalle milizie sostenute dal governo e in alcuni casi assistite sul campo dalle forze armate sudanesi, uccisioni di civili; saccheggi e incendi delle abitazioni". Si è trattato della prima visita in Sudan e dei primi incontri con rappresentanti del governo di Khartoum da parte di un organismo non governativo internazionale per i diritti umani dallo scoppio della crisi. Con una significativa differenza rispetto al passato, Amnesty International ha avuto libero e completo accesso al Darfur: i suoi delegati hanno visitato Al Jeneina, Nyala e Al Fasher e hanno incontrato alti rappresentanti governativi sia in Darfur che a Khartoum, così come esponenti di organismi internazionali e della società civile.

Continuano intanto le atrocità nella regione. Lo scorso weekend l'agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Iniziative Umanitarie ha denunciato l'ennesimo raid di cavalieri Janjaweed in un villaggio del nord del Darfur, costringendo più di 5 mila persone a fuggire verso i campi profughi al confine col Ciad. E due inviati speciali dell'Onu che hanno visitato i campi profughi riportano che la paura di attacchi è tuttora diffusa anche tra i rifugiati. [GB]

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