Bolivia, quando i bambini crescono in carcere

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Dal Centro Qalauma, in Bolivia, Roberto Simoncelli, coordinatore di ProgettoMondo Mlal testimonia la realtà delle carceri boliviane, dove il 10% della popolazione è costituita da bambini e dove la settimana scorsa sono morte 31 persone carbonizzate. Racconta delle lunghe file di bambini che, al mattino, lasciano le carceri per andare all’asilo o alle scuole elementari e di quanto si possa fare cooperando.

“A differenza degli altri 31 corpi carbonizzati, quello di Leonardito era l’unico riconoscibile. Perché Leonardito è l’unico bambino tra le vittime dell’inferno scoppiato nel carcere di Palmasola nella città boliviana di Santa Cruz. Venerdì 23 agosto, alcuni prigionieri della sezione riservata ai condannati considerati ad alta pericolosità (responsabili cioè di omicidi efferati e violenze sessuali) hanno tagliato la rete di ferro che li separava dai detenuti in attesa di giudizio e scatenato un regolamento dei conti terminato con 32 vittime e numerosissimi feriti.

La versione ufficiale sostiene che all’origine del massacro ci sia la brutale rivendicazione di molteplici interessi imperanti all’interno del carcere, quali il controllo del traffico di droga e alcool, del pagamento dell’assicurazione sulla vita prevista per i detenuti, della compravendita degli appartamenti, della riscossione del pagamento degli affitti. Detto questo, nessuno saprà mai le vere ragioni che hanno scatenato l’inferno. Il Centro penitenziario Palmasola ospita piú di 5.000 persone fra detenuti, familiari in visita e bambini e costituisce il vero centro operativo della criminalità della regione.

Se ti rubano l’auto, è probabile che, il giorno dopo, la chiamata per la riscossione di una somma pattuita ti arrivi direttamente dal carcere. Leonardito era uno dei numerosi bambini che in Bolivia vivono in carcere insieme ai genitori. Si stima che il 10% della popolazione carceraria sia costituito infatti da bambini. E ogni mattina, lunghe file di bambini lasciano le carceri boliviane per andare all’asilo o alle scuole elementari. Nelle carceri boliviane, bambini, adolescenti e giovani convivono con gli adulti e, anche per questo, sono vittime predestinate di maltrattamenti, violenze psicologiche, fisiche e sessuali, nonché delle condizioni subumane che caratterizzano ancora oggi il sistema carcerario boliviano.

Il sistema della giustizia boliviano è una bomba a orologeria. Il sovraffollamento, la corruzione, il ritardo della giustizia, la mancanza assoluta di programmi di riabilitazione, la mancata applicazione di misure alternative alla privazione di libertà e l’assenza di un sistema normativo specializzato per adolescenti costituiscono le caratteristiche fondamentali del sistema attualmente in vigore.”

L’organismo di cooperazione allo sviluppo ProgettoMondo Mlal, che in Bolivia è impegnato sul tema della giustizia, minorile e non, fin dal 2002, è riuscito nell’impresa di aprire il primo istituto nella storia del Paese andino specializzato nella riabilitazione di 160 adolescenti privati della libertà. il Centro si chiama Qalauma ed è stato realizzato due anni fa nella città di El Alto-La Paz. Anche qui, il 95% degli adolescenti ospitati è in attesa di giudizio; il 70% dei giovani si trova in carcere per reati minori.

In altri Paesi, dove vigono sistemi di giustizia più rispettosi dei diritti umani i giovani scontano misure cautelari alternative alla detenzione in carcere. Anche in Italia, per i minorenni, la Giustizia prevede processi rapidi (6 mesi), responsabilità penale minore e ricorre alla detenzione in carcere come ultimo rimedio. Dei 20.500 adolescenti italiani che hanno problemi con la legge, solo 500 sono in carcere mentre, agli altri 20mila vengono applicate misure alternative. I risultati del Centro Qaluama però non hanno tardato ad arrivare, in soli due anni dall’apertura è stato registrato un abbassamento dall’80% (media nazionale) al 4% del tasso di recidiva nel crimine e l’elaborazione di un nuovo modello socio-educativo riconosciuto dalla Direzione Nazionale di Regime Penitenziario.

Oggi i 160 adolescenti, attualmente ospiti del Centro, sono infatti coinvolti in un percorso educativo di valorizzazione dell’essere umano che promuove il rafforzamento dei processi di responsabilizzazione e protagonismo di adolescenti e giovani, attraverso la partecipazione a diverse attività di formazione professionale e di terapia occupazionale (falegnameria, industria alimentare, sartoria, agronomia, artigianato). Si è inoltre sviluppata la formazione scolastica, attraverso la creazione di un Istituto Superiore Umanistico e Tecnico (CEA “Ana Maria Romero de Campero”) proprio all’interno del Centro Qaluama che si avvale oggi di un corpo di 12 docenti. Grazie a uno specifico progetto cofinanziato dall’Unione europea (Liber’Arte), è stato inoltre avviato un programma di cultura e arte-terapia per il quale, nell’ultimo anno, sono stati realizzati 20 laboratori artistici (teatro, fotografia e disegno grafico) e diversi eventi aperti al pubblico esterno.

L’ultimo risultato, forse il più importante, per determinare un reale cambiamento nel sistema di Giustizia boliviano, è il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, della società civile e della comunità in programmi di riabilitazione. In questi anni è nata infatti una piattaforma di sostegno costituita da enti locali, nazionali e internazionali, tra questi: Comune di Viacha, CDC, Croce Rossa Internazionale, ISEAT, Pastoral Penitenziaria, UNICEF, ONDUC, SENADEP, Associazione di Arte COMPA, Istituto Berlino, RC, la Associazione Tedesca per l’educazione di adulti, Fautapo, Gregoria Apaza, CECASEM.

Fonte: volontariperlosviluppo.it

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