Birmania/Myanmar: processo farsa, altri 18 mesi per San Suu Kyi

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Per voce del proprio segretario generale Irene Khan, Amnesty International esprime dura condanna alla decisione della Giunta Birmana d'infliggere 18 mesi di arresti domiciliari al premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. “La condanna della leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi a 18 mesi di arresti domiciliari è vergognosa e deriva da un teatrino politico e legale” - precisa Irene Khan.

Leader della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito di opposizione in Myanmar, Suu Kyi ha trascorso 14 degli ultimi 20 anni in stato di arresto, nonostante la NLD abbia vinto nel 1990 le elezioni nazionali con oltre il 75% dei consensi. Un successo mai riconosciuto dalla Giunta Militare, al potere dal 1962 mediante un governo dittatoriale.

Suu Kyi è stata condannata dal tribunale militare ad ulteriori 18 mesi di detenzione domiciliare, per violazione dei termini che regolano dal 2002 i suoi arresti domiciliari, in relazione al fatto che il premio Nobel avesse ospitato, senza autorizzazione, l'attivista americano John Yettaw (quest'ultimo condannando a 7 anni di lavori forzati), giunto a nuoto sino alla sua abitazione.

Il tribunale birmano aveva inizialmente inflitto a Suu Kyi una pena di 3 anni di reclusione e lavori forzati, ma il leader della giunta militare al potere, Than Shwe, ha convertito la pena in 18 mesi di detenzione domiciliare. Una mossa di facciata, come sottolinea nuovamente Irene Khan: “Le autorità birmane sperano che una sentenza simile possa essere interpretata dalla comunità internazionale come un atto di clemenza. Ma non lo è e non deve essere vista come tale, specialmente dall'Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale e dall'Unione Europea. Aung San Suu Kyi ha passato in regime di detenzione oltre 13 degli ultimi 20 anni, nonostante non avrebbe mai dovuto essere arrestata. L'unica soluzione è la sua immediata e incondizionata liberazione”.

Secondo Asia News, si tratta di una mossa calcolata ad arte per impedire la partecipazione del Nobel alle elezioni nazionali del 2010: “Si è chiuso con la sentenza di condanna il processo contro la leader del partito di opposizione Lega nazionale per la democrazia (Nld), in un processo costruito ad arte dal regime per mantenere agli arresti la “Signora”. Questa mattina la Corte, con una mossa per molti versi inaspettata, ha concesso ai giornalisti l’ingresso in tribunale per assistere alla lettura della sentenza. Al termine della dichiarazione di colpevolezza e alla condanna, ci sono stati cinque minuti di pausa. Quindi l’ingresso in aula del Ministro birmano degli interni, il quale ha letto un ordine speciale di Than Shwe, che ha deciso la commutazione della pena a 18 mesi agli arresti domiciliari. Fin dall’inizio il caso è sembrato una montatura creata ad arte dalla giunta militare per poter condannare nuovamente la leader dell’opposizione. La giunta militare, al potere in Myanmar dal 1962, ha incriminato la “Signora” per impedirle di partecipare alle elezioni politiche in programma nel 2010. I 18 mesi di arresti domiciliari sono infatti il margine di tempo necessario e sufficiente alla dittatura per escludere la principale candidata dell’opposizione – che ha vinto le elezioni del 1990 e mai riconosciute dai militari – dal panorama politico nazionale”.

Immediate le voci di condanna alla sentenza da parte della comunità internazionale. La presidenza di turno svedese dell'Unione Europea chiede la “liberazione immediata e senza condizioni” della leader dell'opposizione birmana, precisando come la UE “intensificherà il lavoro con la comunità internazionale, e specialmente con i suoi partner in Asia, per ottenere il rilascio di San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici in Birmania”.

Ad oggi infatti, vi sono oltre 2100 prigionieri politici detenuti dal regime dittatoriale nelle carceri del Myanmar. Come passo verso la democrazia nel paese, l'associazione Birmania Democratica lancia l'appello per l'immediata liberazione del premio Nobel e degli altri prigionieri politici, attraverso una petizione on line.

Come attestato di stima ed invito a sostenere la protesta democratica birmana, Amnesty International ha conferito a Suu Kyi il prestigioso riconoscimento di “Ambasciatore della coscienza”, per l'anno 2009.

Andrea Dalla Palma

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