Rifugiati in Libano: siriani e palestinesi in cerca d’identità

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Foto: Unsplash.com

In Libano ci sono centinaia di migliaia di rifugiati tra palestinesi e siriani che vivono tra un difficile tentativo di integrazione e una ricerca costante delle propria identità. Una situazione che mette alla prova chi è fuggito da guerra e privazioni e che rappresenta ancora una sfida enorme per il futuro dei bambini.

di Beatrice Pistola

Nel cuore del Libano due comunità di rifugiaticonvivono sospese tra la memoria di una patria perduta e il rifiuto dell’integrazione da parte della società ospitante. I bambini palestinesi e siriani, nati e cresciuti in esilio, costruiscono la propria identità tra macerie, confini e silenzi istituzionali. In un contesto segnato da marginalizzazione giuridica e sociale, precarietà economica e assenza di cittadinanza, l’infanzia diventa un terreno di negoziazione costante tra radici e sopravvivenza, memoria e futuro.

Pur condividendo l’esperienza dello sfollamento forzato, le due comunità si muovono lungo traiettorie storiche, istituzionali e culturali profondamente diverse.

Rifugiati palestinesi in Libano

La presenza palestinese in Libano è una delle più longeve nella regione. Dopo la Nakba del 1948, circa 750.000 palestinesi furono costretti ad abbandonare la propria terra. Nel corso dei decenni, la diaspora palestinese ha sviluppato un’identità collettiva forte, strutturata attorno al ricordo del trauma, alla centralità del diritto al ritorno e alla resistenza come forma di esistenza.

Oggi circa 490.000 palestinesi risiedono in Libano in condizioni di forte esclusione sociale. Considerati stranieri nonostante la lunga permanenza, sono esclusi dalla cittadinanza e da numerosi diritti fondamentali, tra cui l’accesso a diverse professioni, alla sanità pubblica e alla proprietà privata.

In questo contesto, l’identità palestinese diventa uno spazio politico e simbolico, alimentato da un sistema educativo (le scuole dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente), da reti culturali e da una forte trasmissione intergenerazionale della memoria.

bambini palestinesi crescono così in un ecosistema identitario codificato, in cui narrazioni, simboli e pratiche quotidiane contribuiscono a costruire un senso di “palestinesità” ancorato alla memoria della perdita e alla speranza del ritorno. Le scuole dell’Unrwa, pur seguendo il curriculum libanese, sono luoghi dove l’identità viene performata e ritualizzata: si cantano inni, si celebrano giornate commemorative, si imparano i nomi delle città perdute.

L’identità non è soltanto raccontata, ma vissuta. Tuttavia, per le giovani generazioni nate in esilio, la Palestina è spesso un’astrazione. Il legame con la terra d’origine è mediato da racconti, fotografie sbiadite, disegni infantili che ritraggono ulivi e bandiere. La patria diventa simbolo, mito, dovere.

Non tutti riescono ad aderire a questa costruzione identitaria: alcuni bambini sviluppano una coscienza critica, manifestano disagio verso una narrazione che percepiscono come imposta e cercano forme nuove e personali di appartenenza...

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