ll taglio alle università, una doccia fredda sul Piano del rilancio della nostra ricerca pubblica

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Il Fondo di finanziamento ordinario delle università italiane per il 2024 subirà un taglio di circa mezzo miliardo di euro: il provvedimento potrebbe mettere a rischio la crescita e la sopravvivenza delle università statali italiane, nonostante il progresso registrato tra il 2019 e il 2023. Il Piano Amaldi-Maiani propone di integrare i fondi del PNRR con 6,4 miliardi di euro aggiuntivi dal 2024 al 2027 per mantenere gli investimenti nella ricerca pubblica al livello attuale, pari a circa lo 0,7% del PIL. Senza queste risorse aggiuntive, terminato il PNRR, molti ricercatori si troverebbero senza lavoro e costretti come molti loro colleghi a prendere la via dell’emigrazione.

Brutte notizie per le università italiane, che si vedono tagliare per decreto il Fondo di finanziamento ordinario 2024 (FFO), un taglio che secondo la Conferenza dei rettori ammonta a circa mezzo miliardo di euro. «Il provvedimento – spiega il documento dei rettori – presenta notevoli elementi di criticità che, se confermati, rischiano non solo di arrestare l'evoluzione virtuosa del sistema universitario nazionale ma anche di mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell'università statale italiana». La delusione dei vertici delle università italiane è tanto più forte considerando l’evoluzione positiva che si era registrata dal 2019 al 2023, che aveva visto passare l’entità complessiva dell’FFO da 7,5 a 9,2 miliardi di euro, che servono a coprire buona parte delle spese degli atenei, soprattutto sotto forma di piani straordinari per l’assunzione di ricercatori e, più di recente, di professori e personale tecnico-amministrativo.

«I valori raggiunti restano comunque inferiori in termini reali a quelli del 2020. In questo contesto, nel periodo tra il 2019 e il 2023 è cambiata progressivamente anche la struttura del FFO, con un progressivo aumento della parte della quota base distribuita in base al costo standard1 (a scapito della parte di quota base distribuita in base alla spesa storica), un costante aumento della quota premiale legata alla qualità delle politiche di reclutamento e dei risultati della ricerca e un significativo incremento della quota vincolata, prevalentemente all’assunzione di nuovo personale».

La battuta d’arresto provoca non pochi problemi alle università, facendo emergere «la preoccupazione che una intera generazione di giovani ricercatrici e ricercatori non abbia prospettive. Giudizio simile è stato espresso dal Consiglio universitario nazionale (CUN). La ministra MUR Anna Maria Bernini, dopo una prima reazione stizzita, sta provando a ricucire con gli atenei. Resta però il fatto che queste misure vanno decisamente in direzione opposta rispetto alle indicazioni del Piano quadriennale per la ricerca pubblica che i fisici Ugo Amaldi e Luciano Maiani avevano presentato lo scorso aprile all’Accademia dei Lincei, in presenza della ministra Bernini che si era mostrata interessata, e poi aggiornato in ottobre.

Il Piano intende consolidare il finanziamento della ricerca pubblica del nostro paese al livello al quale il PNRR la sta portando grazie ai circa 7 miliardi di euro iniettati nel sistema, consentendo peraltro a università ed enti di ricerca di impiegare nuovi ricercatori e dottorandi. I quali, terminato il PNRR nel 2026, senza risorse aggiuntive si troverebbero senza lavoro, e costretti come molti loro colleghi a prendere la via dell’emigrazione verso paesi più generosi...

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