Tunisia: cronaca di una profonda crisi politica

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Foto: Unsplash.com

Tunisi, 25 luglio. Elyes Fakhfakh, 48 anni, ingegnere e uomo d’affari, eletto Presidente del consiglio dei ministri il 27 febbraio scorso, è la prima vittima dello scontro politico fra le più alte cariche istituzionali, del quale avevamo riportato i contenuti in una recente corrispondenza.

Elyes Fakhfakh si è dimesso il 15 luglio 2020, dopo 4 mesi e 26 giorni di cammino su terreni minati, su richiesta del Presidente della Repubblica, Kaïs Saïed, dopo la presentazione di una mozione di censura da parte di 105 deputati (su 217) dell’ARP (Assemblea dei rappresentanti del popolo), in particolare dei membri di Ennhadha, il partito islamico a maggioranza relativa, guidato dal Presidente dell’ARP Rached Ghannouchi. 

Avendo evitato di passare sotto le forche caudine del voto di fiducia del parlamento, ha tolto al potente e scaltro Rached Ghannouchi, la possibilità, in caso di sfiducia al governo, di nominare, in qualità di capo di Ennhadha, il partito numericamente più rilevante in assemblea , il nuovo responsabile della compagine governativa.

La Costituzione è giudicata da molti vaga in questo ambito, ma il dubbio di legittimità dell’interpretazione costituzionale è stato superato dalle dimissioni del Presidente del consiglio, che demandano al Presidente della Repubblica la scelta di un nuovo Primo ministro.

L’assenza di una Corte Costituzionale lascia comunque sempre aperte le porte a interpretazioni, di parte, della Costituzione: questo è uno dei limiti attuali della giovane, ma ancora inesperta, e per questo irrequieta, Repubblica tunisina.

Per non far mancare niente al dibattito politico, nei giorni precedenti Elyes Fakhfakh ha tentato di sostituire i ministri che erano membri di Ennhadha, ma questo l’avrebbe obbligato al passaggio in ARP per il voto di fiducia per i nuovi componenti del Governo, quindi ha desistito. Ma la stessa sera delle dimissioni, con un colpo di teatro, ha raggirato l’ostacolo e ha estromesso i ministri del partito islamico e affidato l’interim dei loro portafogli ad altri ministri in carica.

Da subito sono iniziate azioni di cambiamento, a vari livelli, nella pubblica amministrazione, nei posti dedenuti da simpatizzanti di Ennhadha. 

Il governo continuerà a gestire l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento di un nuovo esecutivo.

E’ il secondo governo ad interim nell’ultimo anno dopo quello di Youssef Chahed, da ottobre 2019 a febbraio di quest’anno, quando, dopo cinque mesi di estenuanti trattative, venne eletto Elyes Fakhfakh.

Per completezza d’informazione, e per sottolineare la continua turbolenza nella gestione del Paese dal 2011, anno di nascita di un sistema democratico, si ricorda che l’attuale dimissionario è l’ottavo Presidente del consiglio.

Anche in termini di nascita di partiti, dal dopo rivoluzione ad oggi (9 anni), i numeri lasciano a bocca aperta, anche noi Italiani, che pur siamo abituati all’abbondanza di raggruppamenti politici: sono 222 le formazioni politiche che hanno chiesto e ottenuto l’autorizzazione. L’ultimo nato, durante il mese di giugno, è il Partito nazionale tunisino.

Ristabilita la sua supremazia istituzionale, subito dopo le dimissioni del Primo ministro, il Presidente della Repubblica ha scritto a tutti i responsabili dei partiti, presenti nell’ARP, affinchè gli facessero avere per iscritto, entro il 23 luglio, i nomi di candidati alla carica di Capo del governo che intendevano proporre alla sua attenzione .

Se alla Kasbah, sede del Governo, e al Palazzo di Cartagine, sede della Presidenza della Repubblica, le acque sono agitate, ancora più turbolente sono al Bardo, sede dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo.

Tra scontri fisici con lesioni a parlamentari, sit-in permanenti del partito filo-anziano regime, guidato dalla sempre più pasionaria Abir Moussi, e mozioni di sfiducia contro il Presidente dell’assemblea Rached Ghannouchi, la paralisi è completa.

Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica, ha convocato al Palazzo di Cartagine, il presidente dell'ARP e i suoi due vicepresidenti, Samira Chaouachi e Tarak Fetiti.

“Avvertimento di Kaïs Saïed”, ha titolato la testata online WBC, aggiungendo poi che ”lo scopo di questa convocazione era di esaminare il funzionamento dello Stato, in particolare la situazione che ha recentemente prevalso in Parlamento, che si ritrova incapace di svolgere la sua missione”. 

Tutti i media hanno denunciato una situazione insostenibile:

Espace Manager ha scritto: “L'immagine del Parlamento non è mai stata cosi’ negativa. L'anarchia che regna lì è dannosa non solo per questa essenziale istituzione della democrazia, ma per il Paese nel suo insieme. Se la violenza e le tensioni sono diventate il pane quotidiano lì, come non trovare gli stessi fenomeni nella popolazione e specialmente tra i giovani?.”

E su Webdo si legge: “La Tunisia sta sprofondando sempre più in una crisi politica senza precedenti, segnata in particolare da una profonda divergenza tra i tre capi del potere, ma anche da una crisi istituzionale che ha attanagliato l'Assemblea dei rappresentanti del popolo il cui lavoro è paralizzato.

Questa situazione piuttosto caotica a tutti i livelli, porta a preoccupazioni politiche, sociali ed economiche dei donatori e delle istituzioni finanziarie globali. È in questo contesto che l'agenzia di rating Moody ha messo in guardia dal ritardo dell'installazione di un nuovo governo in Tunisia e dalle sue ripercussioni economiche.

In una situazione già di suo ingarbugliata si sono inserite anche altre istituzioni, come quelle giudiziaria e amministrativa del territorio.

La prima ha rispolverato leggi che riguardano diritti civili e tutela delle minoranze, emettendo alcune sentenze che hanno fatto storcere la bocca alle frange più laiche del Paese ed a coloro che costantemente mettono in evidenza la Tunisia come esempio di modernità verso aperture civili sempre più avanzate

Due i casi: nel primo, la condanna a sei mesi di carcere per la blogger Emna Charqui, riconosciuta colpevole di «incitamento all'odio tra religioni» da una corte di Tunisi. Due mesi fa, su Facebook, aveva condiviso un post satirico sul Covid-19 scritto sotto la forma di un versetto del Corano; nel secondo, due ragazzi, entrambi 26enni, sono stati condannati a due anni di carcere con l’accusa di sodomia, un reato che nel paese nordafricano può essere punito con una condanna anche fino a tre anni di carcere. 

Il tutto nel pieno rispetto delle leggi vigenti, ma cio’ non ha impedito di appesantire un dibattito già teso.

Anche alcuni sindaci hanno voluto segnalare la loro presenza rifiutando, come nel caso del primo cittadino di El Kram, un borgo di pescatori confinante con Cartagine, di consentire il matrimonio di una tunisina con un non musulmano (come legalmente possibile dal 2017); o, nel caso del sindaco di Bizerte, cittadina portuale situata a nord avest a 70 chilometri da Tunisi, di registrare nomi che non siano arabi per i nuovi nati, rispolverando una vecchia legge del 1957.

Se il Palazzo piange, il Paese non ride: in un post Covid 19, peraltro contenuto e fino ad ora ben arginato, si sta allargando a macchia d’olio l’impoverimento della popolazione.

“Il tasso di disoccupazione in Tunisia dovrebbe raggiungere il 21,6% contro il 15% prima della crisi legata alla diffusione del nuovo coronavirus”, ha annunciato il ministro tunisino per lo sviluppo, gli investimenti e la cooperazione, Slim Azzebi, in una conferenza stampa internazionale.

Descrivendo i risultati di uno studio condotto dal suo ministero sugli effetti economici di Covid-19, in coordinamento con il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, Azzebi ha rivelato che “274.000 potenziali nuovi disoccupati stanno per arrivare sul Mercato locale. Si prevede inoltre un calo del 4,4% del prodotto interno lordo nell'arco dell'anno in corso. E il tasso di povertà potrebbe salire dal 15,2% al 19,2% quest'anno.”

Se una parte dei giovani continua, soprattutto nel sud del Paese, a manifestare contro questa situazione, contrastata spesso duramente anche con l’intervento dell’esercito, un’altra, sempre più numerosa, intraprende i cosiddetti “ viaggi della speranza” verso lidi nord mediterranei.

Non essendoci mai fine al peggio c’è anche la minaccia del ritorno delle migliaia di tunisini che erano partiti per la Siria come combattenti al fianco di formazioni terroristiche islamiste.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha dichiarato, venerdì 17 luglio, che “i servizi di intelligence turchi avrebbero trasferito negli ultimi mesi, dal territorio siriano in Libia, centinaia di combattenti di organizzazioni terroristiche, dei quali la maggior parte sono di nazionalità tunisina”.

Realitès, un organo di stampa sempre ben informato, a sua volta ha scritto che “Il ministero della difesa tunisino ha emesso un allarme rosso per tutte le forze armate e il controllo delle frontiere nella regione.”

A tarda sera del 25 luglio dal cilindro del Palazzo di Cartagine é uscito a sorpresa, come sempre nelle mosse del Presidente Kaïs Saïed, il nome del nuovo inquilino della Kasbah : si tratta di Hichem Mechichî, 46 anni, enarca e grand commis di Stato, ministro dell’interno uscente ma sconosciuto al grande pubblico, e nome non proposto dai partiti. Avrà un mese di tempo per formare il suo Governo e, soprattutto, cercare di ottenere un voto di fiducia dall’Assemblea dei rappresentanti del popolo. Non sarà per lui una passeggiata, ma ne riparleremo.

Intanto il 31 luglio si festeggerà l’ Aïd al-Adha, la grande festa che commemora la forza della fede di Abramo, con il sacrificio dei montoni, che già invadono ampi spazi in città e paesi,in attesa del loro destino.

Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).

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