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Transnistria, un supermarket di bombe nucleari?
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Ai confini dell’Unione Europea, tra la Moldavia e il Mar Nero, si estende una stretta e lunga striscia di territorio che forma la sedicente Repubblica di Transnistria, praticamente un ultimo avamposto sovietico in Europa.
A livello internazionale la Transnistria non esiste, essendo formalmente una regione della Moldavia: ma dopo la guerra tra i due paesi del 1992 questo piccolo lembo di terra ha un suo presidente, una sua bandiera, un suo parlamento. E soprattutto un esercito. Per essere precisi la 14a armata dell’esercito russo che da quasi vent’anni “veglia” su questa repubblichetta, che di fatto è ancora alle dipendenze di Mosca. La 14a armata è la protagonista della storia recente della Transnistria almeno dalla disgregazione dell’Unione Sovietica in poi.
Nel 1992 sotto la guida del generale Lebed (un personaggio truce e militaresco, sostenitore di Pinochet, fautore di varie repressioni in Caucaso, e abbastanza famoso per essersi candidato alle presidenziali russe nel 1996) le truppe ex sovietiche scatenarono una guerra contro l’esiguo esercito moldavo, sancendo la via indipendentista della Transnistria e una progressiva russificazione del territorio (nelle scuole è vietato insegnare il moldavo). Da allora la situazione è congelata nonostante le ripetute promesse russe di ritirare le truppe e i tentativi europei di sanare la situazione con i negoziati. Negli ultimi mesi sono arrivati segnali positivi con la riapertura della ferrovia che collega la capitale della Moldavia Chisinau con il porto ucraino di Odessa, mentre l’Unione Europea, come gesto di apertura, ha sospeso fino al 31 marzo le sanzioni verso il regime autoritario transnistriano.
Dal 1989 al potere è rimasto Igor Smirnov, presidente e padrone dello stato fantasma, di cui controlla anche l’apparato produttivo e informativo. Di origine siberiana, capo della onnipresente industria Sheriff, Smirnov ha una visione politica simile a quella del dittatore nordcoreano Kim Jong Il: accentrare tutto nelle mani della sua famiglia. Il figlio Vladimir controlla l’agenzia delle dogane, il figlio Oleg guida l’unica banca del paese e è leader del partito patriottico. Simboli sovietici decorano la capitale Tiraspol, una città pulita e ordinata che nasconde ogni tipo di traffici e presenze poco raccomandabili.
Nessuno infatti si interesserebbe di un paese di seicento mila abitanti, povero e arretrato se non fosse per la quantità di armi presente in un territorio così piccolo. Polveriera, pattumiera, supermarket delle armi, poligono di tiro, buco nero: sono queste le metafore, neppure tanto lontane dalla realtà, per descrivere la Transnistria che non è uno stato indipendente (nessuno, neanche la Russia la ha mai riconosciuta), non è un protettorato, non è una regione autonoma. In effetti nessuno conosce con certezza la situazione, soprattutto per quanto riguarda il traffico d’armi.
Secondo un documento del 2008 della Rete italiana per il disarmo (in .pdf) “la Transnistria è uno dei principali punti di smercio e di transito del traffico di armi internazionale, dal momento che nel paese vi sono i depositi militari di Tiraspol della 14ma Armata russa: l’arsenale di Kolbasna si estende per 32 ettari vicino a Rybnita nel nord del paese e fino a qualche anno fa aveva stoccato almeno 42 mila tonnellate di armi. L’Osce e i servizi segreti della Moldavia sostengono che in Transnistria vi siano altri depositi con non meno di 50 mila armi leggere e che almeno tredici unità industriali, ufficialmente fabbriche di elettrodomestici, siano adibite alla costruzione di ulteriori armi. Le intelligence di vari paesi sostengono che in Transnistria si sarebbero approvvigionati di armi Al Qaeda e Hamas, i Lupi grigi e il PKK, gli Hezbollah e tutte le mafie internazionali e la criminalità organizzata”.
Tuttavia ciò che desta maggiore preoccupazione è la presenza (e il possibile smercio) di armi con materiale non convenzionale. Già nel 1997 il generale Lebed denunciava la scomparsa di una “valigetta” contenente una bomba nucleare portatile. Se questa vicenda non è stata mai chiarita, è invece provata l’esistenza di numerosi missili Alazan (razzi convenzionali terra-terra molto imprecisi ma che possono essere muniti facilmente di isotopi radioattivi): nel 2009 ne sono spariti almeno 10 da un arsenale vicino a Tiraspol, mentre i servizi segreti moldavi hanno messo le mani su 1,8 kg di uranio 238, arrestando 7 trafficanti. Insomma a pochi passi dai confini dell’Unione europea esiste una zona franca per qualsiasi tipo di arma. Segno che in questo campo non si può mai abbassare la guardia, come dimostra l’attenzione riservata a questo problema dall’Interpol europea. Ma l’unica reale alternativa resta il disarmo, una strada da percorrere con tenacia.