Traditori. Basta la parola

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Sparare alle spalle. Traditori. Disertori... e nel contempo: Responsabili, Eroi, Uomini veri. In questo fine di legislatura gli epiteti e gli sproloqui aumentano con il rancore più che tra parti avverse tra le stesse parti. In politica, infatti, si muore spesso di fuoco amico.

Che una società viva fasi nelle quali la parola sia posta al servizio del rancore e dell’odio non è, quindi, una novità. Senza andar troppo lontani, il secolo scorso è costellato di tragedie che sono state anticipate da un sapiente abuso della parola. Mussolini, a proposito dell'odierna giornata Giornata mondiale contro il fascismo e l'antisemitismo, echeggiò in Parlamento il suo “chi se ne frega” di fronte all'interrogazione che riguardò il delitto Matteotti. Trattasi di fenomeni di violenza diffusa che sono stati curatamente preparati dalla parola.

Ma ciò che oggi stupisce è il fatto che questa violenza del linguaggio non nasce da rivendicazioni sociali collettive, ma sembra piuttosto essere il risultato di processi manipolatori funzionali al potere politico. E non manca chi, nell’informazione, ha deciso di cavalcare questo clima di scontro e di violenza, usando la denigrazione e l’offesa come armi legittime e giustificabili sul piano professionale. In tutto questo il vero problema non è da ricercare sul piano giuridico, stabilendo cosa è legittimo dire e quali siano i confini fra il linguaggio “legittimo” e quello che va invece stigmatizzato e punito. Il problema, secondo il nostro collaboratore Alberto Conci, sta invece nell’abbrutimento delle persone, nella distruttività sul piano delle relazioni, nella perdita del senso della propria dignità e di quella degli altri. Siamo dunque entrati in un clima di odio destinato solo a peggiorare?

Secondo Pagnoncelli (presidente Ipsos) sono tre i caratteri di questa deriva: l’estremizzazione degli scontri, con l’annullamento delle posizioni intermedie e la colpevolizzazione di chi non si schiera agli estremi, di chi punta sul dialogo; la semplificazione della realtà attorno ad atteggiamenti che Pagnoncelli descrive come “etnici” o “da tifoso”, con quel corredo di rinuncia alla ragione che questo comporta; infine la mancanza di responsabilità della politica che, attraverso la logica dello scontro, contribuisce ad aggravare questo clima di conflitto.

Piergiorgio Cattani, neo caporedattore pro tempore di Unimondo (un augurio), scrive oggi che in Medio Oriente le parole sono pietre, anzi pallottole, anzi bombe. Per questo chi vuole lavorare per la causa della pace deve cominciare a stare attento con le parole. Che possono involontariamente alimentare l’odio, il rancore, il fanatismo. Lo stesso che poi portò al pogrom nazista (la notte tra il 9 ed il 10 novembre del 1938) condotto in Austria, Germania e Cecoslovacchia contro la popolazione ebraica e che passò alla storia come “la notte di cristalli” (Kristallnacht), in riferimento alle vetrine delle migliaia di negozi ebrei distrutte. Furono rase al suolo sinagoghe e uccisi centinaia di ebrei. Nei giorni successivi, oltre 30.000 uomini e donne ebrei furono arrestati e deportati nei campi di concentramento di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen. Ebbene; se andiamo a scovare nei giornali di regime nei mesi prima gli epiteti che venivano rivolti agli ebrei troveremo molte parole simili a quelle in uso oggi.

Coraggio. 22 anni fa, proprio oggi, cadde il Muro di Berlino. Due Germanie si riunificarono. Possiamo immaginare di far cadere, anche noi, il muro che in questi 18 anni di berlusconismo ed antiberlusconsmo è stato edificato alacremente da ambo le parti? Non rischiamo con l'inasprirsi del linguaggio di protrarsi dei problemi di rimanere tutti schiacciati?

La richiesta è quindi rivolta ai lettori. Aiutateci. Se vedete che anche questo portale od altri vanno oltre certi limiti scriveteci, fare un post, telefonateci. Non fateci cadere nel tifo da stadio, nell'abruttimento. La cosa peggiore che ci possa succedere. Grazie

Fabio Pipinato

 

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